Storie di vita all'estero - riscattando la mia vita


Oggi hIr raccoglie la testimonianze di una voce, una di quelle  che ha avuto il coraggio di raccontare la sua storia. Una di quelle voci che dovremmo prendere come esempio di denuncia, non solo sociale, per renderci sempre più conto, giorno dopo giorno, di quanto il futuro che stiamo costruendo non sia più roseo di quanto lo sia il presente che viviamo. 
Vorrei ringraziare Dalila Franchi, originaria di Latina, oggi Manager di un’importante catena di pub a Londra. 
Quello di oggi non vuole essere un semplice reportage di “vite all’estero”.
Oggi noi non parliamo di scelte forti e consapevoli. 
Oggi parliamo di una giovane Donna che ha dovuto scegliere se stessa. 
Oggi parliamo di una giovane donna e le sue lotte contro il pregiudizio, contro la misoginia e le discriminazioni. 
Oggi ringrazio Dalila. 
Ma vorrei lasciare la parola a lei. 


Da dove parte il tuo viaggio? 


Il mio viaggio parte da Latina, dove sono nata e cresciuta. 

Non un posto famoso per la sua apertura verso il “diverso”, sopratutto quando con questa parola si tende a sottolineare un particolare modo di vestire, di comportarsi. 

Il famoso detto: non giudicare il libro dalla copertina.

Ho frequentato un liceo artistico, a scuola me la cavavo, come ogni adolescente con tanto altro per la testa. 

C’era una materia dove però eccellevo, con tanta facilità, senza troppo sforzo, era inglese.

Questo mi ha spinta a 18 anni a fare il mio primo viaggio a Londra, al posto di prendere la patente.

E mai nella vita avrei potuto fare scelta più saggia. Perché ho sentito finalmente di appartenere ad un posto. Mi sono sentita libera di essere me stessa. La gente non mi guardava sconvolta mentre camminavo per strada. La gente mi ha fermata, per sorridermi e dirmi che adorava i miei vestiti.

Mi sono ritrovata in un posto che per me era assimilabile al paradiso. 


E di lì sei partita? 


No, di lì sono tornata in Italia, lasciando a Londra il mio cuore, per diplomarmi e mettere i soldi da parte per partite. 

Tra i miei diciotto anni e i miei ventuno quindi ho disperatamente cercato di sistemarmi lavorativamente parlando, al fine di poter sovvenzionare il mio progetto. 

Ma tutto quello che ho trovato sono stati lavori sottopagati, senza contratto, senza giorni liberi, con a stento la possibilità di andare in bagno. Perché per come mi vesto e per il mio stile, oltre a stare dietro il bancone di un bar nessuno mi dava neanche la possibilità di fare un giorno di prova.

Fino a situazioni nettamente più spiacevoli, come le molestie durante i colloqui di lavoro.

Sono una donna, quindi nella teste di questi “capi” non sorgevano domande legate al mio lavoro, alle mie esperienze, ai miei titoli, alle mie abilità linguistiche.

No, a loro interessava sapere se: fossi fidanzata, se avessi un ragazzo geloso, se qualcuno mi venisse a prendere la sera dopo il turno, altrimenti “puoi venire con me, a casa ti ci porto io”. 

Quindi sono arrivata a ventun’anni che l’unico ad avermi dato lavoro in condizioni comunque terribili, fu un amico di papà.

Nel suo bar, dove per tutti sarei dovuta restare, solo perché avevo uno stile diverso dalla norma.


Parlaci della scelta di andare via:


Non è stato facile, non lo è tutt’oggi dopo più di dieci anni che vivo qui. 

Non lo sarà probabilmente mai. 

Ma a un certo punto mi sono trovata costretta a fare questo passo: non ne potevo più, non ne potevo più di niente. 

Così ho preso un biglietto di sola andata, i miei risparmi e sono partita.

Sono atterrata a Londra con esattamente 200 euro in tasca, zero conoscenza della burocrazia e dei passaggi necessari per lavorare, la mia piccola valigia e tanta voglia di fare. 

Il primo passo, è stato andare in un Internet Point. 

All’epoca non esistevano le app per cercare lavoro, dovevi stampare un cv e portarlo in giro. 

Quindi esistevano questi posti dove pagavi per ogni ora di utilizzo del pc e di internet.

Feci venti copie del mio cv e andai a perdermi per le strade di Londra.

Mi ritrovai in questo pub, molto carino, e decidi di lasciare il curriculum al manager.

Mai a sapere che quest’uomo era di Latina e conosceva addirittura mio padre, in quanto compagni di scuola. 

Lui mi offre il mio primo lavoro. All’italiana.

Full time, da apertura a chiusura, senza contratto, senza garanzie, per 5 POUNDS l’ora.

Al netto di tutto non avevo i soldi per pagarmi una casa, per andare via, per fare nulla.

La mia casa era il locale: la sera mi chiudevo dentro e dormivo su delle sedie. Cercando di risparmiare il più possibile. 

Però se posso dirti, era difficile, andavo a fare la doccia nella palestra vicina al pub, ma ero felice. Ingenua sicuramente, ma felice.


E come è evoluta? 


Passati tre mesi, probabilmente qualcuno da lì su ha deciso di mandarmi un angelo a cambiarmi la vita.

Era un normale pranzo, un normale turno. 

Feci amicizia con questo tavolo, particolarmente simpatico, una ragazza e un ragazzo.

Lei mi fa i complimenti per il sevizio, mi chiede che mansioni ricoprissi all’interno del pub, che ovviamente i quei tre mesi erano diventate assurde: dalla contabilità, alla gestione.

E lei, curiosa, mi chiese il mio salario, che invece non era cambiato, a differenza delle responsabilità che mi crescevano addosso.

Rimase scioccata e mi organizzò un colloquio con la sua azienda. 

Il giorno dopo ero in questo posto, che mi offriva tre volte quello che prendevo  e una situazione con garanzie e tranquillità.

Nel giro di qualche mese divento assistant manager, l’azienda mi manda nei centri di nuova apertura per insegnare ai nuovi team come lavoravamo.

Ero felice, tanto felice, e come sempre, quando sei felice, sei nel tuo momento, diventa quello giusto per aprirsi agli altri. 

Quindi mi sono anche presa il lusso di innamorarmi. 


Ti va di parlarci di questa storia? 


Ad oggi ti dico di sì. 

Ho capito tante cose sulle relazioni, ma sopratutto ho capito cosa non voglio. Anche e forse sopratutto grazie a questa esperienza.

Lo conobbi a Londra, ma lui non viveva a Londra.

La nostra relazione si è sviluppata velocemente, era travolgente, mi capiva, mi faceva stare bene, ero libera con lui.

Tanto è vero che nel 2016 mi chiede di sposarlo. E io accetto. 

Lascio il lavoro, lascio Londra per trasferirmi da lui. 

E di lì è iniziato un processo che mi ha portata ad aprire gli occhi. 

Lui non era come credevo.

Era possessivo, geloso, controllante.

Non potevo fare molto, senza di lui, ed è stato sempre più un crescendo. 

Dalla pressione psicologica sempre più forte ad altro.

Nel 2020 mi sono decisa a dire basta.

E li ho visto l’altra grande differenza con l’Italia.

Mi sono rivolta alle autorità, che mi hanno risolto il problema nel giro di 48h: lo stato mi ha anche offerto supporto psicologico per superare il tutto. 

In Italia, probabilmente, sarei morta.


E sei riuscita a riprenderti la tua vita? 


Sono tornata a Londra, ho provato a rientrare nel mio vecchio lavoro e fortunatamente ci sono riuscita.

Avevano una posizione aperta come Barlady e per me andava bene tutto, purché potessi tornare a lavorare libera.

Alla fine mi hanno assunta come manager, posizione che ricopro tutt’ora.

Mi sono ripresa la mia libertà, mi sono ripresa me stessa e penso che sia una cosa che dovrebbero fare tutti. 

Non lasciatevi opprimere, non lasciate che spengano la vostra luce, mai. 


Quali sono tre caratteristiche di te che pensi ti siano state utili in questo percorso? 


La prima sicuramente “l’umiltà”; non ho mai avuto paura di sporcarmi le mani, di fare lavori poco piacevoli, pur di restare lì, pur di non darmi per vinta.

La seconda penso sia il voler rendere fiera me stessa e la mia mamma, che da quando ho sette anni non è più su questa terra.

Passo ogni giorno a cercare di renderci orgogliose entrambe, penso a che Donna forte e controcorrente era lei, che pur amandolo non ha mai voluto sposare mio padre, perché era contro questi contratti sociali; penso ai suoi tatuaggi e al suo modo di vestire, penso a quando le mamme a scuola pensavano facesse parte di una qualche setta satanica e non facevano venire le loro figlie a giocare con me. Penso che mia madre sia il mio più grande esempio, sempre.

Ed infine ti direi la determinazione. Non mollo la presa mai. 


E cosa consiglieresti a chi volesse intraprendere il tuo percorso? 


Seguite il cuore e l’istinto. Per quanto faccia male, se un posto vi sta stretto, andatevene. Prendete le vostre cose e cercate la vostra fortuna altrove.

A non tradire se stessi si fa sempre bene.

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