Perché sempre tutto a noi?



Ho vent’anni e non so cosa sto facendo. 

Studio, lavoro, bevo troppo caffè.
Non arrivo mai a fine mese, quindi dal 21 si mangiano solo spaghetti aglio olio e peperoncino. 

Il mio paio di jeans più nuovo ha 4 anni. 

Mi sveglio la mattina e non so dove sbattere la testa, non ho tempo di far nulla. 

Entro nella doccia solo per scoprire che mi sono dimenticata di accendere lo scaldabagno. 

Non dovevo fare così tardi ieri sera. 

Nello sconforto esistenziale della doccia fredda, del frigo vuoto e del notare con dolore che ha piovuto sui miei panni stesi, penso quel classico, maledetto ‘perché sempre tutto a me?’. 


E invece c’è il mio amico che studia molto più di me, e che per inseguire giustamente una carriera universitaria brillante non riesce sempre a lavorare. 

Un po’ per scelta sua (gestione dei tempi, bisogno anche di un po’ di relax), un po’ perché tanti posti non assumono studenti - troppi permessi per quando hanno gli esami, timore che diventino presto troppo qualificati per lo stipendio minimo. 

Dal 21 del mese mangia a casa mia, perché da lui sono finiti spaghetti e peperoncino. 

Ma va bene così, perché solo due anni e poi sarà laureato. Poi tempo di tirocini, praticantati, un po’ di gavetta e finalmente avrà raggiunto il suo sogno. E ne sarà valsa la pena.

E quando per caso, per un periodo strano, per troppo stress o semplicemente perché è umano viene bocciato ad un esame, pensa quel classico, maledetto ‘perché sempre tutto a me?’. 


Mia sorella è stata all’estero per una vita. Il primo anno di università fatto in Australia, poi una parentesi bolognese per laurearsi, seguita da una magistrale che le ha permesso di trascorrere ogni semestre in uno stato diverso. 

Tanti sacrifici: la famiglia sempre lontana, relazioni interrotte, amicizie che si allentano lungo la strada, non avere un posto da chiamare casa. 

Esperienze stupende, possibilità infinite, incontri bellissimi con persone di tutto il mondo. 

Poi per caso arriva la pandemia che la blocca per due anni nel paesino di 5000 anime in cui siamo cresciute. Al duecentesimo giorno di routine sempre uguale, sempre nello stesso posto, guarda quel paesaggio collinare dalla finestra della sua cameretta adolescenziale e pensa ‘perché sempre tutto a me?’. 


E da lì altri mille esempi: 

il mio coinquilino infermiere, che ama il suo lavoro - ma l’Italia è un pessimo posto per farlo e ogni due mesi pensa se forse non è il caso di scappare altrove; il mio amico d’infanzia fornaio che vuole fuggire dalla monotonia di provincia e da un lavoro che non lo stimola più per inseguire un sogno da speaker radiofonico, ma che sa quanto è difficile lasciare tutto e cambiare vita; tanti amici che non hanno ancora idea di cosa fare e rimbalzano da un lavoretto all’altro senza mai trovarne uno che gli dia soddisfazione; altri che si sono laureati ma non trovano un impiego che riconosca il loro valore e non riescono a raggiungere una stabilità economica tale da lasciare casa dei genitori. 


Li metto tutti insieme in una grande stanza mentale e mi chiedo: chi sono queste persone? Quante altre ce ne sono lì fuori, che ogni giorno si devono chiedere ‘perché sempre tutto a me?’?


Mi rendo conto che in quella stanza mentale c’è tanto spazio: spazio, infatti, per un’intera generazione. Quella definita di pigri, viziati, mammoni. 

Quella che vive il perenne  binomio tra il non poter trovare lavoro e l’avere infinite possibilità di inventarlo. 

Quella di confusi, delusi, senza certezze, economicamente instabili, con una costante sensazione di futuro rotto e presente rubato; ma anche di speranzosi, impegnati, consapevoli, rivoluzionari.


Quella generazione che spesso ha solo bisogno di sentirsi dire che può farcela, e che il ‘farcela’ ha milioni di sfaccettature.
Che farcela può voler dire riuscire ad ambientarsi in una nuova città, può voler dire trovare il nostro modo per arrivare a fine mese, può voler dire passare quell’esame che hai già dato tre volte. 

Avere il coraggio di lasciare quel lavoro che non ti soddisfa per qualcosa di meglio.
Trovare quella passione che ti fa svegliare la mattina col sorriso anche se nella vita fai tutt’altro. 

Semplicemente affrontare ogni giornata. 

Farcela vuol dire anche solo smettere di credere che per essere realizzati, apprezzati, adeguati agli standard richiesti dalla società sia necessario essere perfetti: non tutti seguiamo il percorso che ci siamo proposti a diciotto anni, non tutti sappiamo cosa fare nella vita, non tutti sappiamo come affrontare grandi e piccole difficoltà della quotidianità. 


Generazione che spesso ha solo bisogno di una voce amica, pari, egualmente confusa, incerta, svalutata, ma che sappia dire ‘non sei solo’. Di qualcun altro che si stia tenendo a galla, e che porga un braccio per aiutare anche noi a non andare a fondo. 


È su questa base che nasce /hIr/ :

un luogo immaginario al quale fare capo per rispondere a domande esistenziali, ma anche per semplici curiosità che possono ispirare l’individuo ad una riflessione introspettiva su se stesso e sul mondo che lo circonda;

Un megafono che permetta un dialogo aperto a tutti, nel quale chiunque abbia qualcosa da raccontare e da condividere trovi il suo spazio;

Una guida per chi si ritrova nel mezzo della propria vita con un obiettivo, piccolo o grande che sia, ma senza sapere come raggiungerlo; un mezzo per qualcuno che un obiettivo non lo ha, affinchè riesca a costruirne uno sulla base dell’esperienza di un terzo con il quale specchiarsi.

Un porto sicuro che ricordi a ognuno di noi che non siamo soli, e che siamo tutti incerti, confusi, in difficoltà. Ma che tutti insieme possiamo farcela. 

Commenti

  1. Tutto vero quello che dici, Isa - oserei dire "troppo" vero! - Tanto, che non ci provo nemmeno a suggerire una via d'uscita, una soluzione, una cura... Posso donarti solo una mia sensazione, probabilmente sbagliata, ma forse degna di essere considerata, almeno per un attimo:
    la prima cosa da fare è superare proprio quel "perché sempre tutto a me?" -
    Occorre vivere convincendosi che non c'è in alto un tizio che con dei fili invisibili ti tiene in suo potere e ti manovra come crede e muove le cose tutto intorno a te in modo che ti siano ostili o in qualche modo ti ostacolino. No, piccola. Tu, lui, io, siamo persone libere buttate nel muco del mondo. Quel muco non ce l'ha con noi in particolare, lui semplicemente è fatto così! Tocca a noi divincolarci ed uscirne fuori, reagire contro le viscide avversità, ignorarle e superarle. A qualsiasi costo.
    Nulla ci verrà donato, ma nulla potrà davvero impedirci di andare dove abbiamo deciso di andare. Il muco ci ostacolerà sempre, ma non potrà impedirci nulla!

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