Non solo cantante ma artista: Francesca e il suo progetto




Passione, talento, studio, tanto tanto impegno. Questi gli ingredienti alla base di Francesca Palamidessi. Classe ’91, Francesca non è riassumibile nell’etichetta di cantante: si tratta di un’artista a tutto tondo, di una musicista a 360°, con alle spalle una formazione artistica e tecnica che spazia dal conservatorio all’ingegneria del suono. 

Con lei abbiamo parlato di percorsi e di cosa vuol dire per un’artista rispondere alla domanda “che lavoro fai?”; dell’importanza del talento ma anche della formazione. 

Francesca ci ha portati nel suo mondo, fatto di tournée con artisti big della musica italiana, uffici stampa, produzione e soprattutto tanti sogni.

Questo viaggio nella persona dietro all’artista culmina con il racconto del suo attuale progetto: un disco tutto autoprodotto, che vede Francesca a coprire ogni ruolo necessario, da strumentali, voci, mastering, post produzione. 

E di questo disco è appena uscito l’ultimo singolo, Ego Killer, che a noi ha già fatto venire i brividi! 


Ora è il momento di lasciare a lei la parola, e portare anche voi a scoprire chi è Francesca: 



Come inizia il tuo percorso? 


Partiamo dal presupposto che la musica ha sempre fatto parte della mia vita, essendo figlia d’arte sono stata iniziata alla musica sin da piccolissima.

Paradossalmente però è un percorso che ho intrapreso seriamente in un secondo momento.

Dai sei fino ai sedici anni sono stata totalmente immersa nel mondo dell’agonismo sportivo: la ginnastica artistica. A questo affiancavo lo studio della musica classica, pianoforte e violino; mi sono interfacciata anche con altri strumenti, ma diciamo che questi sono stati cardine.

A sedici anni per motivi di salute non ho potuto proseguire il mio percorso, sicuramente è stato un duro colpo, ma mi ha anche dato modo di immergermi nella musica in maniera diversa.


A che livello si è impostata la tua formazione? 

 

A diciotto anni mi sono iscritta al conservatorio, che dava da poco la possibilità di laurearsi attraverso un percorso triennale più due anni per aggiungere la magistrale.

Fondamentalmente era tutto molto nuovo, da poco il mondo del conservatorio aveva aperto le porte a generi musicali diversi da quello classico, motivo per il quale mi sono lanciata in una cosa per me totalmente nuova: l’indirizzo jazz. 

Di lì ho avuto la fortuna, che altri magari non hanno avuto, grazie a fondi statali e al conservatorio, di fare un anno di Erasmus in Belgio, dove poi ho vissuto per quattro anni.


Come definiresti la tua esperienza in Belgio? 


Il Belgio è un posto piccolo, ma mi ha formata e resa quella che sono oggi.

È un posto nel quale la musica, l’arte e l’artista in generale non sono visti come persone che rincorrono un sogno, uno stile di vita e dei valori poco condivisibili, ma anzi, il miglioramento e l’evoluzione della cultura grazie all’arte e all’apporto che può dare l’artista sono visti quasi in maniera nobile.

Ma questo secondo me è anche dettato dal fatto che il Belgio è un paese con meno problemi economici rispetto all’Italia, di conseguenza c’è più spazio per fondi, sovvenzioni statali e quindi meno precariato per chi fa il mio lavoro.


Ti senti “schiacciata” dal pensiero che le persone hanno sul tuo lavoro? 


Ad oggi ti direi di no, ma è ovvio che quando rispondo alla fatidica domanda “che lavoro fai” in un certo senso avverto quasi il bisogno di affermare anche i risultati che ho ottenuto e che ottengo dal mio lavoro, quasi fosse l’unico modo per farmi prendere sul serio quando dico che sono un’artista e faccio musica.

Un tempo sentivo molto il peso del giudizio, ma è uno di quegli aspetti su cui ho lavorato tanto, al punto da essere fiera del mio percorso, del mio lavoro e di quello che faccio.


Come è cambiato il tuo modo di approcciarti a questo lavoro con il passare del tempo? 


Il processo artistico è un processo personale, ognuno tendenzialmente lo vive in maniera diversa. Io mi rendo conto dell’evoluzione che ha avuto il mio nel tempo, anche banalmente il concept che c’è dietro i miei dischi. 

Quando ho iniziato questo percorso il progetto iniziale era: fare dischi e fare musica da vivo, concerti, live e cose così. 

Ad oggi ti dico il progetto è rimasto questo, ma c’è dietro un’idea diversa, un modo diverso di concepire la mia arte e me stessa. 

Ho testato diversi approcci alla musica e ad oggi penso di aver trovato la mia dimensione, la mia firma stilistica per così dire. Qualcosa in cui mi riconosco e che voglio mantenere. 


Parlaci un po’ del tuo attuale progetto:


È un progetto a lunga durata. È iniziato lo scorso settembre e non finirà prima del prossimo febbraio. Un po’ per le tempistiche di elaborazione dei brani, un po’ per come ho deciso di distribuire i l’uscita del disco e anche per il diverso lavoro che sto facendo su quest’ultimo.

Per intenderci: ci sono diversi modi per produrre un disco, il più utilizzato è la registrazione delle singole parti strumentali, della voce, per poi procedere con mastering e tutta la post produzione. Comunque è un processo lungo e che il più delle volte coinvolge più operatori. 

Questa volta ho deciso di essere totalmente padrona del mio progetto. 

Se c’è qualcosa che non ho sottolineato nel mio percorso è che sono un ingegnere del suono. Conseguentemente ho delle competenze che mi permettono ad oggi di fare un tipo di produzione diversa, quindi come si sta strutturando il mio lavoro: digitalmente.

Tutti gli strumenti, i suoni, è tutto computerizzato. 

Questo mi sta permettendo di lavorare al mio progetto in maniera totalmente solitaria. Ed è questo che ho capito mi piace e fa stare bene, essere padrona di quello che sto costruendo, non dovermi interfacciare con tante teste e tante idee. Che è una cosa che in passato mi ha fatta soffrire: il dover contaminare il mio progetto con quello che pensa e dice altra gente.

Il confronto è importante, spesso faccio ascoltare, chiedo, cerco feedback, ma resta il mio progetto, resta il mio lavoro. 

Nonostante io faccia sempre tesoro delle critiche, non sempre a seguito di un feedback negativo vado a modificare la parte “colpita” da questo. Solo in alcuni casi mi rendo conto che può essere costruttivo ed aiutarmi a migliorare il prodotto finito.


Ma entriamo nel vivo: da cosa nasce questo progetto? 


Questo progetto nasce da un processo di introspezione importante, che mi ha fatto riflettere su quanto le cose brutte che riceviamo dall’esterno non siano necessariamente apporti negativi alla nostra vita.

Il concetto generale che cresce nel disco è proprio questo: la relazione che c’è tra la perla e l’ostrica.

I rifiuti esterni per forza di cose entrano nell’ ostrica e lei è capace, attraverso un processo di trasformazione, di prendere la materia di scarto e renderla una perla, che vivrà dentro di lei. 

Una cosa che porta molto a riflettere. 

Gli eventi negativi non sono necessariamente distruttivi, o se lo sono, sta a noi prenderli e renderli perle. 

Tutto sta in come decidiamo di trasformarli. 

Credo che questo progetto sia il risolversi di un periodo che mi ha messa a dura prova, sotto tanti punti di vista, ma dal quale alla fine sono riuscita a trarre il meglio. Ecco perché ho deciso di lavorare a 360 gradi da sola: perché è un mio processo, ed ora sono contenta del fatto che sia davvero tutto mio. 


E quali sono stati eventi della tua vita che pensi ti abbiano fatto dire “sono sulla strada giusta”? 


Guarda, riprendendo il discorso dal quale nasce il concetto fondante di questo mio nuovo disco, la maggior parte delle esperienze che mi hanno fatto dire “sono sulla strada giusta” sono state esperienze negative.

Una fra tutte: x-factor.

Mi ha fatto capire qual è la differenza fra il fare le cose per gli altri, seguendo il loro gusto, la loro struttura, cosa che trovo denaturante e farle invece con consapevolezza, per se stessi, con se stessi. 

Li ho capito cosa volevo essere, ed io voglio essere un’artista. 

Sfatando un po’ il luogo comune del cantante che usa la voce come strumento, perché non è solo questo. Io prima di tutto compongo: la voce è un elemento secondario nel processo creativo. 

Allo stesso modo ci sono state esperienze positive che mi hanno arricchita e fatta maturare, come ad esempio il seguire le tournée , con big della musica italiana.

In primis mi hanno aiutata a darmi un setting mentale diverso: vengo dal mondo del jazz, dell’improvvisazione, e questi grandi eventi sono progettati per essere impeccabili. 

Ci sono settimane, se non mesi, di prove, che sono però anticipati da un lavoro individuale nel quale si impara la propria parte. 

Questo ovviamente mi è utile ad oggi nella progettazione anche di miei eventi live e mi ha insegnato tutt’altra faccia e tutt’altro modus operandi. 

E poi anche l’aver avuto la fortuna di interfacciarmi con personalità grandi di questo mondo. 

Scoprire la loro umanità, il loro essere fragili tanto quanto me, il sapere che il peso non lo proviamo solo noi artisti emergenti, ma anche loro, che all’effettivo, siamo tutti esseri umani e abbiamo tutti le stesse paure. Sembra banale, ma per me è stata una presa di coscienza importante. Se prima sentivo il peso dei traguardi altrui, ad oggi sono focalizzata su di me e prendo l’esperienza degli altri come sprono a fare meglio. 


E ad oggi ti dedichi solo a questo o hai lavori collaterali? 


Da sempre porto avanti lavori esterni ai miei progetti musicali, anche perché in qualche modo vanno sovvenzionati, non sono cose da poco. 

Non mi sono mai distaccata dall’ambito artistico però. Sfrutto la mia laurea in ingegneria del suono , quindi spesso mi occupo di post-produzione, sound design, editing; lavoro anche nel doppiaggio cantato: insomma, tutte cose che comunque mi permettono di rimanere nell’ambito e di restare a contatto con gente che fa quello che faccio io. 

Penso che il mio preferito sia comunque il lavoro in Tournée, stare sul palco con grandi della musica Italia è un’emozione che non so descrivere, le prime volte ti provoca panico, poi però quel panico diventa adrenalina pura, una sensazione che ti inebria: guardi questo mare di gente, che sembra non finire mai, ed hai la possibilità di vivere un grande show, indescrivibile. 

Per quanto riguarda la possibilità di insegnare mi sono accorta nel tempo che non fa per me, non ho quel tipo di attitude, quindi alla fine mi ci sono distaccata un po’. 


E per quanto riguarda tutta la parte organizzativa, di social media management, pubblicità, hai qualcuno che lavora per te? 


No, questa volta sto procedente davvero in solitudine, non soltanto per la parte artistica ma anche per tutto il resto. 

Al momento non ho un manager, non ho un’etichetta, sono libera da qualsiasi vincolo.

Ho un ufficio stampa, che è essenziale. Io ho qualcosa da comunicare, ma senza di loro sarebbe difficile farlo arrivare, quindi sono delle figure necessarie. 

Si occupano delle comunicazioni con radio e giornali e ottimizzano la divulgazione del disco.

Per la parte social, invece, curo tutto io. È difficilissimo riuscire a rimanere fedele a me stessa, trasformando in immagini qualcosa che generalmente rendo in suono. Ma è un lavoro che piano piano sto imparando a fare. 


E per quanto riguarda le piattaforme di streaming? 


Vorrei sfatare il mito per il quale si guadagna tanto attraverso piattaforme come Spotify; 

Il guadagno ad ascolto è di circa 0.006 centesimi di euro, ed io personalmente non ci ho mai tirato su troppo.

Non credo renda giustizia al lavoro e all’investimento che c’è dietro ogni singolo brano, di ogni singolo artista. 

Da proporzioni solo una piccolissima fetta di artisti riesce davvero a guadagnarci qualcosa.

Il guadagno reale in queste attività è basato su eventi live e vendita di dischi. 

Per quanto riguarda la vendita dei dischi, è un campo in totale sofferenza, ma che funziona ancora. 


E tu pensi che per fare bene questo lavoro serva studio o basti avere talento? 


Partendo dal presupposto che non sono mai stata un’allieva modello, ti dico che è un lavoro nel quale il talento conta tanto. Ma lo studio ti permette di spaziare, di conoscere, di contaminare, di crearti un tuo spazio. 

Non è vitale studiare, ma secondo me, nel mio caso almeno, aver studiato mi permette di velocizzare tutto il processo creativo che si forma nella mente, perché poi cristallizzarlo nella realtà è molto più rapido.

Quindi per rispondere alla tua domanda, studiare completa: permette soprattutto di realizzare prodotti artistici più complessi, più consapevoli. 


Quali sono tre caratteristiche di te stessa che credi ti siano utili in quello che fai? 


Prima di tutto ti direi: l’unicità; avere una propria personalità e non cedere alle pressioni sociali, credo sia un grande punto di forza.

Poi ti direi: il sogno; avere la capacità di sognare e immaginare ti permette di guardare oltre gli schemi. 

Ed infine ti direi: il coraggio. 


Qual è un consiglio che daresti a qualcuno che vuole intraprendere lo stesso percorso? 


Non ascoltare nessuno, ascolta te stesso e basta. 

Ricordati di seguire sempre il tuo istinto, perché in questo mondo devi seguire prima l’istinto e poi la ragione. 

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