Storia di una fotografa - l’importanza di saper essere se stessi






Da un minuscolo paesino del sud Italia alle mostre internazionali: quando rompere gli schemi si dimostra la scelta giusta.
È questo il pensiero con cui oggi approdiamo a Lecce, dove è nata e cresciuta Giulia, 24 anni, in arte BlackMamba, che è fotografa queer ma anche femminista, modella, content creator e host di dibattiti sui suoi salottini social.  E con lei abbiamo parlato del suo ruolo, della società odierna, dell'importanza dello stare fuori dalle righe, dell'essere se stessi e di dare valore all'intimità e l'emotività altrui. Ma, sopratutto, di come tutte queste cose possono essere sintetizzate e mostrate al mondo, per immagini, tramite la fotografia.

Come tanti nel settore, anche tu hai un nome d’arte. Si tratta solo di una questione comunicativa o questo dualismo esiste anche dentro di te? 

Giulia e Blackmamba in realtà sono la stessa persona: stesso sangue, stessi occhi, stesse paure e stesse convinzioni. Giulia piange un po’ più di BlackMamba, e quest’ultima è la parte un po’ più sfavillante e patinata di Giulia. Però comunicano tanto, sono affini. Non ho mai voluto che il personaggio schiacciasse la persona: credo sia importante rimanere umani. 


Com’è nato il tuo nome d’arte e cosa significa per te?

BlackMamba è nata per gioco, dopo aver visto Kill Bill con i miei coinquilini, in cui questo è il nome della protagonista. Il personaggio, come il serpente da cui prende nome, è velenoso, pungente: mi rappresentava. A detta di tanti spesso sono scomoda, pungente, per le cose che faccio con la mia arte e per il modo con cui le comunico. Tuttavia, questa ‘velenosità’, ad esempio, Giulia non ce l’ha: si confina nel personaggio, non nella persona. 


Parliamo un po’ della tua fotografia, dei tuoi soggetti. Da cosa parte la scelta?

Sono una fotografa di persone, scatto soprattutto ritratti. Da quando ho preso in mano la macchina fotografica ho sempre avuto un solo obiettivo: non far sentire nessuno come mi sono sentita io da ragazzina. Vengo da un paesino minuscolo nel profondo sud, dove la mia carica artistica e il mio estro hanno attirato tante critiche: sono sempre stata fuori dalle righe nello stile e nella personalità. Per questo, appena ho potuto, ho deciso non solo di seguire la mia strada ma di “guidare” tutti quelli che si sono sempre sentiti sbagliati, diversi, non consoni, che fosse per il loro orientamento sessuale, per il loro corpo o per le loro idee. 

Ho sempre voluto mostrar loro che una strada per noi c’è, magari non siamo tanti e non siamo tutti, ma si può fare gruppo, si può creare una coalizione! 


Quando ho iniziato io, in Puglia, c’era questa sorta di “élite fotografica”, sia per i fotografi che per le modelle: da una parte della macchina fotografica c’erano i soliti nomi, già conosciuti e inflazionati; dall’altra modelli e modelle con lo stesso tipo di corpo, di stile e di abbigliamento.

Sono arrivata io e, da subito, ho un po’ destrutturato questa standardizzazione di corpi e arte. Perché alla fine, chi ha detto che la fotografia deve essere solo per chi ha una determinata altezza, determinate misure? La fotografia è per tutti!


E invece chi sono i modelli che posano per te? 

Tendo a lavorare principalmente con persone che non sono mai state davanti alla macchina fotografica: mi piace la verità, l’umanità, ed è facile tirarla fuori da chi è inesperto e non ha la conoscenza del proprio corpo e delle proprie movenze.

Quando mi trovo invece a lavorare con chi ha già esperienza, cerco di andare oltre il fattore puramente estetico e appellarmi alla loro sfera emotiva, mostrandoli in modo diverso rispetto a come sono abituati a vedersi. 


Quest’ultima è una caratteristica importante della mia fotografia, forse la più importante: io punto all’anima, all’emotività. Non è raro che sui miei set cadano lacrime, da entrambi i lati dell’obiettivo! Mi sono chiesta spesso perché e credo che dipenda proprio da questa mia ricerca di una profondità, che poi si tramuta nel pormi con i soggetti in quanto Giulia: ci sediamo e parliamo da persona a persona, non da soggetto a professionista, ti offro il caffè in casa mia, ti porto in un contesto che è familiare, che è mio. 

E questo permette di tirar fuori dalle persone quello che vogliono mostrare, quello che desiderano essere in quel momento, davanti a me, di sentirsi liberi. 


E per quanto riguarda gli aspetti “materiali, pragmatici”:  ci racconteresti un po’ del percorso che ti ha portato fino a qui? 

In realtà ho portato avanti due percorsi in parallelo: la Laurea triennale in Accademia di Belle Arti a Lecce, indirizzo Grafica d'arte. Poi ho frequentato LO.FT Lecce, una scuola di fotografia privata, dove ho svolto un biennio di fotografia e Visual design con rilascio di attestato, due workshop intensivi di 4 giorni l'uno all'estero, a Cracovia nel 2019 e Parigi nel 2022, ed un Master di sei mesi, “Firma Visiva”, ad Officine Fotografiche, a Roma. 


Insomma sei super qualificata, nonostante la giovane età. Ricordiamo che hai da poco compiuto 24 anni. Immagino che la determinazione sia stata fondamentale nel tuo percorso 

Sicuramente è stato un percorso tortuoso e non semplice, con tante cadute e tante domande: in molti momenti mi sono effettivamente chiesta se fosse veramente quello che voglio fare, se fosse la cosa giusta per me insomma. 

Partendo dal principio, diciamo che ho sempre saputo di voler far parte del mondo dell’arte, sin da bambina. Non è stata una sorpresa per i miei quando mi sono voluta iscrivere al liceo artistico, e poi all’accademia di belle arti: sono state scelte lineari e dettate dalle passioni che ho sempre mostrato. 

Pensavo di volermi legare al mondo dell’art director, principalmente per quelle che sono le mie doti gestionali: mi sarebbe piaciuto, insomma, prendere in carico i lavori degli altri. 


Poi è stato tutto random: un’estate, tra il secondo ed il terzo anno di università, lavorando al bar di un campeggio ho conosciuto un ragazzo che faceva il modello a Milano. Così, per caso, mi chiese di fare delle foto per i nuovi contenuti dei suoi social: non avevo mai preso in mano una reflex ma accettai, con la sua macchina fotografica e tutte le impostazioni messe da lui; io scattai e basta.

Quando poi abbiamo guardato gli scatti lui era entusiasta: continuava a ripetermi che in anni di carriera nessuno gli aveva mai fatto foto così e che mi sarei dovuta buttare in quel mondo. Inizialmente non ci diedi peso perché, ai tempi, non era nei miei piani.

Però sono una che crede nel destino e nel fatto che certe situazioni e certi incontri non capitino per caso. 

Un mese dopo, una mia compagna di università mi parlò di questa scuola privata di fotografia che avrebbero inaugurato a Lecce di lì a poco: mi è tornato in testa il mondo della fotografia ed ho iniziato a pensarci concretamente. 


Hai avuto un momento di “epifania”, di illuminazione?

Sì. Tutto è cambiato quando il ragazzo a cui feci le prime foto mi convinse ad inviarle a Photovogue, una piattaforma online parallela a Vogue che raccoglie scatti amatoriali che poi vengono o meno selezionati e caricati da alcuni photo editor di alto rango. Ovviamente, l’ho fatto senza alcuna aspettativa, e presto quasi me ne dimenticai. Fino a quando, al mio compleanno, la mia coinquilina mi chiese se avessi mai ottenuto risposta: andammo a controllare ed effettivamente erano state selezionate! 

Ho capito così che qualcosa doveva significare, che magari avevo davvero qualcosa da dire e che quello poteva essere il mio linguaggio. 

E così ho comprato la macchina fotografica e mi sono iscritta a quella scuola di fotografia, tutto alla fine di quella stessa estate. 


Ma contemporaneamente frequentavi anche l’Accademia di Belle Arti. È mai stata una limitazione?

Inizialmente sì. Pensavo già da tempo di lasciare l’accademia perché non faceva per me e non l’ho mai ritenuta ben strutturata. Ma alla fine ho deciso di portare avanti le cose in parallelo: non volevo sprecare un investimento di tempo, soldi ed energie così grande! 


Così ho continuato con la triennale e con i due anni di formazione fotografica.Mi sono impegnata tanto, ho intensificato la mia attività sui social, ho iniziato a vedere i risultati: sono stata selezionata per i primi progetti, e dopo neanche sei mesi le persone hanno iniziato a contattarmi, a dirmi ‘voglio lavorare con te’. Da lì è partita anche la carriera come freelance, che continua tutt’ora.


Una bella sorpresa. E che tipo di accoglienza ha ricevuto il tuo lavoro fino ad ora? Sono state sollevate questioni, critiche di qualche tipo?

Dal punto di vista tecnico, mi viene sempre chiesto come mai fotografo solo in bianco e nero, mai a colori. 

Per me il bianco e nero è il modo per togliere attenzione da tutto ciò che è superfluo: io sono una persona molto colorata, tra capelli, vestiti, accessori; però quando voglio raccontare l’emotività, il lato più intimo e profondo di una persona, ritengo che il colore distragga. 

Con lo sfondo nero potremmo essere ovunque, tanto a Lecce quanto a Parigi, col sole o con il diluvio. Conta solo il soggetto. Il bianco e nero non ti comunica il colore della pelle, degli occhi o dei capelli: non ti resta che concentrarti sull’espressione, le labbra, lo sguardo. 

È il mio modo di far arrivare più direttamente quello che desidero comunicare, più che un contorno superfluo.


Le foto di BlackMamba ricevono critiche per essere bianche e nere. BlackMamba stessa riceve critiche per essere troppo “colorata”? 

Sicuramente. Ho ricevuto più critiche sul mio personaggio che sul mio lavoro: tanti “sei brava, perché non fare solo il tuo lavoro? Perché posare anche? Perché questo personaggio quando potresti solo fotografare?”. 

Insomma, tanti tentativi di rinchiudermi in quelle righe dalle quali ho sempre cercato di uscire.

Ma non mi lascio toccare molto da queste cose: una cosa che ho capito negli ultimi anni è che io non voglio scegliere. 

In una società che ci chiede continuamente di decidere se essere fotografi o modelli, stare in una città o in un’altra, cosa pensare, con chi lavorare, cosa voler fare dopo, io l’unica cosa che so è che non voglio scegliere. Voglio essere tutto, perché penso che ognuno abbia tante sfumature, tante energie diverse, tanti dettagli, a prescindere da lavoro, provenienza e ceto sociale. Non mi piace l’idea che si debba necessariamente scegliere un aspetto della propria vita a discapito di un altro. 


Credi che oggi in Italia ci sia spazio per questo tipo di mentalità? 

Sì, ma è una cosa ancora piccola, incerta, di nicchia. 

Ci sono alcuni locali che danno la possibilità di essere ciò che si desidera, ma spesso vengono vissuti come ‘ora d’aria’, momento isolato della propria vita in cui ci si può sentire liberi di esprimere sé stessi a pieno; cosa che nel quotidiano non è concessa. Per come l’ho sempre vissuta io, invece, l’importante è avere sempre la forza di essere se stessi, non variarla in base al contesto ma anzi facendo sì che sia il contesto a doversi abituare a te! Solo così questa situazione può cambiare, tirando fuori quel qualcosa che hai dentro, esprimendosi, mettendo un punto e mettendo sempre in chiaro ‘io sono questa’. 


Hai vissuto anche a Roma per un po’ di tempo. Hai notato differenze rispetto al sud?

Beh sì. Il contesto sicuramente agevola, sono entrata in tanti ambienti Queer, c’è più varietà. Personalmente, Roma mi ha dato tanto e io ho preso tanto da lei: è lì che mi è tornata utile la mia “fame emotiva” che mi porta a prendere tanto da ogni discorso, contesto, commento; e al contempo di dare lo stesso. È uno scambio che nella fotografia e nella vita per me si è rivelato vitale. 

Roma è stato sicuramente un punto catartico: sono partita da una realtà piccola dove ero ormai conosciuta e riconosciuta, per spostarmi in un posto dove nessuno sapeva chi fossi e mi sono dovuta ridimensionare, per poi riuscire anche lì a trovare il mio ambiente, a farmi apprezzare. 

Roma ha anche portato molte indecisioni: è in questa fase che mi sono chiesta principalmente cosa stessi facendo e perché. Però mi sono data le mie risposte, mi sono resa conto di avere l’obiettivo di dar spazio, voce, ascolto a quella fetta di persone e personalità “diverse”, alla cui voce non viene quasi mai data la giusta forza. Non è facile. Nonostante negli ultimi anni si stanno prendendo tante rivincite, ad esempio tra body positivity, apertura verso altre culture e comunità queer, rimaniamo ancorati ad una maggioranza di persone ancora distanti che preferiscono il magro, il bianco, l’etero. Avere come scopo quello di dar voce a queste diversità mi fa superare le difficoltà e i dubbi. 


Quali sono aspetti soddisfacenti e sfidanti del tuo lavoro?

Parto dalle soddisfazioni perché mi piace guardare sempre prima al pro che al contro.

In primis direi che fare della propria passione un lavoro è una cosa bellissima, ho preso tutto ciò che amo e l’ho trasformato in una fonte di guadagno e di routine. Non ho mai sentito la pesantezza di svegliarmi la mattina per andare su un set, mi alzo carica e felice. 

Poi, come freelance, sicuramente si ha il vantaggio di gestire il proprio tempo: mi rendo conto della fortuna che ho quando a 24 anni posso alzarmi all’ora che dico io, lavorare quando dico io, e se una settimana voglio partire e staccare posso farlo senza render conto a nessuno.

Infine ovviamente la bella gente con cui entro in contatto continuamente: le storie, i dubbi, gli amori che mi raccontano tutte le persone che incontro mi arricchiscono.

Come aspetti negativi sicuramente c’è da nominare l’incertezza economica: bello fare il lavoro che ti piace e gestirlo come vuoi, ma, soprattutto i primi tempi, finché non ti assesti e ti fai un nome devi prendere sempre in considerazione che ci sono periodi in cui lavori meno e quindi non hai finanze, non hai stabilità.

Come seconda cosa sicuramente direi il fatto che non si stacca mai: se con un lavoro “normale” al termine delle tue ore sei semplicemente tu, quando si tratta di ambiti artistici o in cui sei imprenditore di te stesso finisci per essere tu il tuo lavoro. Questo vuol dire uscire a cena ed essere in un continuo network, farsi conoscere, rispondere a telefono, postare sui social, non riuscire ad ascoltare una canzone senza pensare a come combinarla al tuo lavoro, tutto diventa una fonte di ispirazione. Insomma, BlackMamba non abbandona mai Giulia.


A proposito di ricerca di stabilità: dove si immagina Giulia tra 10 anni?

Sono molto preoccupata per lo scorrere del tempo, preferisco vivere a mille il qui e ora. Tra dieci anni non so dove sarò, ma mi auguro tre cose: di fare ancora questo lavoro, di aver girato il mondo il più possibile ed infine di avere una vita piena di amore come quella che ho oggi. Amore su tutti i fronti, dalle persone che mi seguono, la mia famiglia, i miei amici. 


Infine, la domanda di routine di hIr: quali consigli daresti a ragazzi che hanno il tuo stesso stimolo e vogliono seguire questa strada?

Innanzitutto crederci tantissimo. Se non sei il primo a crederci, non lo farà nessuno. 

Come seconda cosa studiate: molti vi diranno che nell’arte la cosa importante è il talento, ma in realtà a quello devi aggiungere una certa formazione, avere tutte le competenze. Ad esempio è lo studio della storia dell’arte che ti fa scoprire l’importanza di tutte le regole: ed è fondamentale capire le regole per poterle rompere nel modo giusto!

Poi sicuramente di non vergognarsi, quello che hai dentro fallo: scrivi, leggi, parti, qualunque sia il tuo ‘richiamo’. 

Non ci si può aspettare che il sistema inizi a venirci incontro, l’unica cosa che si può fare è fare il passo fuori dalla propria comfort zone, fuori dalla paura di essere giudicato: è così che pian piano quello che abbiamo intorno cambia, si creano le comunità, il contesto, il gruppo. Ed è l’unico modo che abbiamo per cambiare il sistema.


Commenti

  1. Essere se stessi è la prova più grande ! Avere il coraggio delle proprie scelte e percorrere la strada dei propri sogni,a volte stranisce ,a volte non è compreso ,ma è l'unico vero traguardo raggiunto con tutta te stessa! La forza che hai dimostrato nel definire te stessa e la tua arte ti porterà lontano e io io sono orgogliosa di te! Ti auguro il meglio !!!!

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