Beatrice e il mondo dei tatuaggi: non solo lavoro, romanticismo.

 



Il mondo dei tatuaggi è vasto e senza tempo: che sia per un fattore tradizionale, culturale, simbolico, intimo o puramente estetico, ormai quasi tutti ne hanno almeno uno.

Il mondo dei tatuatori è ancora più vasto e affascinante: chi sono questi artigiani, artisti, professionisti che lasciano un pezzetto della loro vita sulla tua pelle in maniera indelebile?

Io me lo sono chiesta spesso, e quindi ho deciso di chiederlo a qualcuno che c’è dentro fino al collo.

Beatrice, quasi 32 anni, in quello che fa si identifica a pieno: il suo non è solo un lavoro, è una vera e propria parte di sé. Una delle tante, scopro parlando con questa ragazza che ha alle spalle mille vite, ma comunque tra le principali: “tatuatrice e mamma: è quello che sono e quello che volevo essere”.

Io che ho avuto la fortuna di intervistarla, posso testimoniare che oltre a questo Beatrice è un vulcano di emozioni, parole, entusiasmo, e davanti a un paio di birre è riuscita a farmele vivere tutte, con una chiacchierata che mi ha lasciato tanto: non solo la storia di un mestiere, ma anche il percorso frastagliato di una giovane donna che per il suo sogno ha dato tutto.

Con impegno, sacrifici e la giusta dose di sano romanticismo.

Per prima cosa parlaci un po’ di te: chi è Beatrice? Qual è la sua storia?

Non so bene da dove iniziare, ci sarebbe tanto da dire!

Sono una tatuatrice, e questo prima di essere il mio lavoro è una parte di me; e sono la mamma di una bimba di nove anni.

Partendo dal principio, purtroppo ho scelto una scuola superiore che non mi stimolava e non faceva per me. Questo ha fatto sì che non mi ci impegnassi al 100%: forse se avessi scelto un percorso più adatto a me ci avrei “messo più testa” e avrei iniziato un percorso universitario, che comunque  è tra i miei piani intraprendere. In più sapevo già di voler fare la tatuatrice il prima possibile: sono arrivata a diplomarmi con tre anni di ritardo e incinta di mia figlia, a 21 anni.

A quel tempo ero sposata, e anche il mio ex marito è un tatuatore: mi sarebbe piaciuto iniziare a fare il mio apprendistato da lui già durante l’ultimo anno di liceo, ma nel suo studio non me lo hanno permesso preferendo che io terminassi prima la scuola.

Ovviamente la decisione di diventare genitori mi ha portata a dovermi concentrare un po’ più su di me, che sommato al fatto di aver avuto una gravidanza complicata mi ha costretta a mettere in pausa il mio sogno, ma ovviamente per una giusta causa.

I primi tre anni di mia figlia sono stati difficili: ero proprio piccola, volevo lavorare ma non potevo farlo. Ho fatto qualche mese di esperienza in uno studio, dove però non mi sono trovata bene e ho deciso di lasciar perdere.

Poi ho perso mia nonna, che era una persona fondamentale per me, e questo mi ha fatto decidere di darmi una svegliata. Ho lasciato mio marito, sono tornata a casa dei miei, ho ripreso in mano la mia vita e stabilito finalmente di concretizzare il mio sogno.

Una volta fatto il corso da tatuatrice ho iniziato il mio periodo di apprendistato nello studio di una cara amica, anche lei mamma single di due bimbi, che mi ha accolta con piacere e mi ha insegnato tanto.

Ovviamente conciliare tutto era difficile: mi svegliavo presto, portavo la bimba a scuola e andavo al corso, andavo a riprenderla, la portavo a casa e la lasciavo a mia madre, e andavo a lavorare in un pub per guadagnare il minimo necessario alla mia indipendenza.

Questo periodo mi ha lasciato molto: aver potuto lavorare nello studio di questa amica mi ha permesso di avviare il mio percorso in maniera individuale, slacciarmi finalmente dalla visione di me come “moglie di...”, che spesso avevano i tatuatori che conoscevo.

Per potermi permettere di portare avanti questo sogno ho dovuto fare sempre anche altri lavori ovviamente, dalla cameriera alle pulizie, passando per le consegne alimentari. Ancora adesso lavoro part time in un ufficio prima di andare in studio.

Il mio obiettivo sarebbe quello di potermi dedicare solo a questo, crescere sempre di più e diventare una professionista più “completa”, imparando stilistiche differenti da quelle che faccio adesso, il che ovviamente richiede grande impegno, tra studio, ricerca e allenamento.


Aver sempre dovuto fare più lavori e dividerti tra mille cose è sicuramente una parte importante della tua storia; come la vivi?

Mi reputo fortunata perché la mia famiglia non mi ha mai fatto mancare nulla e ho sempre avuto la possibilità di ricevere il supporto di cui avevo bisogno. Allo stesso tempo, però, ho sempre visto cosa c’era alle spalle di questa situazione: quando penso alla mia famiglia, penso al culo che si è sempre fatto mio padre per garantirci tutto, partendo da zero e lavorando duro per arrivare dove è arrivato. Questo mi ha sempre motivata, mi ha spinta a non approfittarmi della mia fortuna e mi ha invogliata a lavorare, impegnarmi, farmi anche io il culo per ottenere ciò che voglio.

Credo sia un valore importante, sono contenta di essere cresciuta con questa mentalità e stimo le persone in cui rivedo questo elemento.


Entrando nel vivo del tuo percorso, come si diventa tatuatori? Come funziona l’apprendistato di cui parli?

Lo step burocratico necessario è il corso regionale: si tratta di un attestato igienico sanitario senza il quale non si può lavorare, che non costa poco e non fornisce le basi necessarie per tatuare.

Molti pensano di poter, una volta presa questa certificazione, iniziare subito a fare i tatuaggi. Non è così: non avendo appreso le tecniche giuste si finisce per fare lavori pessimi e rovinare le persone.

Vedo tanti ragazzi con poca voglia di mettersi in gioco: entrano in studio e pretendono di iniziare a lavorare, saltando la fase formativa dell’ apprendistato. Quest’ultimo invece, è una vera e propria gavetta che ti insegna tanto sia del mestiere che dell’ambiente e di come ci si sta dentro.

Ovviamente il percorso cambia da persona a persona e in base al tatuatore che ti segue. Alla base di tutto ci sono l’umiltà e la voglia di imparare: entri in uno studio, ascolti e osservi tutto. Sia chiaro, non ci si deve far sfruttare, ma bisogna imparare a dare una mano: le pulizie, la sistemazione della stazione di lavoro, il ruolo di shop manager; ma anche il rapporto con il cliente. È importante imparare l’approccio: educazione, pazienza, ma anche sapersi vendere. Con questo non intendo il vendersi vero e proprio, ma condurre il cliente dalla sua idea verso la tua, per proporgli un progetto in linea con ciò che chiede ma senza snaturare il tuo stile.

Per quanto riguarda me, il percorso dell’apprendistato è stato lungo, perché tra l’altro lavoro e mia figlia avevo comunque meno tempo da dedicare; ma in ogni caso non è una cosa breve: magari non due anni come nel mio caso, ma almeno un anno è necessario.


Come funziona nella pratica il tuo lavoro?

Ovviamente adesso si lavora tramite i social: vedono i tuoi lavori, sanno chi sei e ti contattano. Funziona ancora anche il passaparola, che fino a qualche anno fa era la prassi: il mio primo tatuaggio me lo fece l’allora apprendista di chi aveva tatuato mio zio, per intenderci.

Adesso magari capita che io tatui qualcuno che mi chiede di passare il mio contatto ad un amico e così via.

In genere mi contattano, mi mandano un’idea o un disegno, dopodiché organizzo una consulenza: ci tengo a conoscere le persone, guardarle in faccia, crearci un rapporto. Penso che il mio lavoro sia uno scambio, e mi piace avere un tipo di legame di fiducia con i miei clienti, sapere chi sono, cosa gli piace.

È un’idea un po’ romantica, ma il punto è proprio questo: non è solo un lavoro, è romanticismo.

A quel punto gli preparo il disegno, glie lo faccio vedere (generalmente sempre di persona) e poi si procede.

Dopo aver fatto un tatuaggio cerco di mantenermi in contatto con la persona, assicurarmi che stia guarendo correttamente, rendermi disponibile per eventuali consigli o problemi.

Il tatuaggio non è mai fine a se stesso, le persone non sono tele da riempire, secondo il mio punto di vista: sono, appunto, persone; e un tuo lavoro che rimarrà per sempre sulla loro pelle deve avere un valore per te. È una cosa più intima.

Quando non stiamo tatuando, in studio, generalmente disegniamo, dipingiamo, siamo comunque lì tutti insieme a creare ed allenarci. In quei momenti accettiamo anche i walk-in, clienti che decidono di entrare a tatuarsi senza tutta la parte precedente di cui abbiamo ancora parlato. Generalmente si decide chi lo farà in ordine di anzianità dai membri dello studio, quindi io sono la terza in ‘fila’, non è molto frequente che mi occupi io di loro, in più ovviamente la scelta si basa anche su chi ha lo stile più affine alla richiesta del cliente.

In queste occasioni capitano situazioni per me più difficili da gestire: senza l’organizzazione che mi piace avere alle spalle e senza la conoscenza pregressa con la persona mi trovo più tesa, più agitata.


Come si fa a scegliere il proprio stile?

Inizialmente si parte dai gusti personali, dal riprodurre i disegni che ti piacciono. Però poi si crea una combinazione tra la tua mano e chi ti segue durante le prime esperienze: spesso sono gli altri tatuatori, prima di tutto chi ti affianca durante l’apprendistato, a notare in te qualcosa che può aiutarti a capire la tua strada.

Nel mio caso è stata infatti Chiara, la proprietaria dello studio in cui ho fatto l’apprendista, a vedere in me una dedizione ai dettagli che si discostava dal disegno più sintetico su cui mi concentravo, e ad insegnarmi come sfruttarlo.


Quali sono a tuo parere pro e contro di questo lavoro?

Un grande pro di questo lavoro è la possibilità di gestirti il tuo tempo, i tuoi momenti di libertà, la possibilità di creare, dipingere, disegnare, stare con la tua famiglia, goderti la tua giornata.

In più ovviamente la possibilità di esprimere quello che vuoi esprimere, che per una persona come me vuol dire molto.

Come contro sicuramente direi che è un lavoro faticoso sia come percorso che emotivamente: se hai fretta di guadagnare lascia perdere; se non hai voglia di faticare lascia perdere; se non tieni all’altro lascia perdere.

È comunque un ambiente impegnativo e complesso, aggiungerei soprattutto per le donne.


Quali sono tre caratteristiche di te che ti hanno aiutata durante il percorso e ti aiutano tuttora?

Socialità, emotività e creatività.

Sono tre cose collegate tra loro.

La socialità in primis mi contraddistingue da sempre: che sia nello studio, dove abbiamo un rapporto praticamente fraterno e siamo legatissimi, o nell’ufficio dove lavoro la mattina e in cui ho creato una comitiva con cui pranzare ogni giorno nelle prime settimane in cui sono entrata. Mi piace fare gruppo.

L’emotività inizialmente mi affossava: quando non sai gestirla ti fa vivere male molte cose. Poi ho imparato ad incanalarla nella creatività, ed è cambiato tutto: non sono brava ad esprimermi a parole, quindi lo faccio con i disegni, dipingendo. Comunico così.


Quali consigli daresti a chi vuole intraprendere il tuo stesso percorso?

Questo percorso non si fa da soli. È importante socializzare, conoscere l’ambiente, conoscere le persone. Avere anche senso critico in questo, capire con chi hai a che fare: trova una persona che faccia già questo lavoro e che stimi e rispetti da cui farti seguire lungo la strada, e lì abbi l’umiltà di osservare, chiedere, imparare il più possibile.

Poi ovviamente impegnati, studia, trova la tua mano, crea il più possibile e soprattutto disegna, disegna, disegna.

E come non mi stancherò mai di dire, mettici romanticismo.

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