Storie di vite all'estero: i nomadi digitali


Dopo ventidue giorni passati alla scoperta del sud-est asiatico, una delle cose più incredibili che sono capitate alla mia attenzione è l’enorme quantità di ragazzi e ragazze under 30 che pratica quello che viene definito nomadismo digitale.


Partiamo da una base: ci troviamo in Indonesia, una meta piuttosto gettonata dai giovani per il basso costo della vita e per le attrazioni naturalistiche e non.

Questo possiamo definirlo uno dei principali centri di raccolta per i nostri amici digital nomad proprio per via dell’alto potere d’acquisto che con i loro salari hanno in queste zone.

Per antonomasia, il “digital nomad” o “lavoratore itinerante” è un soggetto che lavora per un’azienda in smart working, come freelance oppure su commissioni.

Il fenomeno dello Smart working ha preso piede in Italia dall’avvento della pandemia, ma nel resto del mondo è un modello di lavoro che esiste da molto prima, motivo per il quale il nomadismo digitale non è proprio cosa recente.

Ma cos’è precisamente il nomadismo digitale ?

Consiste nel  conciliare perfettamente la necessità di lavorare ed avere delle entrate fisse, con l’amore per i viaggi e la scoperta di posti nuovi.

Non dovendo essere fisicamente tutti i giorni nella stessa sede di lavoro, diventa facile viaggiare per nuovi paesi, decidere di stare una settimana in un posto e il resto del mese dove ti porta il cuore.

Come grande pro quindi abbiamo: il lavorare per un’azienda con sede fisica in una qualsiasi parte del mondo e una retribuzione proporzionale alla vita del posto nel quale la stessa ha sede. Questo diciamo che facilita la possibilità di vivere in questi paesi a basso livello di costo di vita e allo stesso tempo accumulare risparmi per il futuro.

Un altro vantaggio per chi ama viaggiare è proprio la possibilità di muoversi in libertà senza vincolo lavorativo fisico. Che cristallizza il sogno di molti ragazzi di non vivere una vita statica e sedentaria.

Noi di hIr abbiamo avuto la fortuna di parlare con più persone di diversi background ampliando la nostra visione sul fenomeno

Non ci è possibile citarli tutti, ma per farvi degli esempi pratici abbiamo parlato con Walter: lavora nel campo finanziario e si occupa di investimenti per conto di grandi società; Jassie che dal Brasile, vive in pianta stabile in Australia e ora sta viaggiando per l’Indonesia e si occupa di vendita di dispositivi tecnologici per un’azienda del suo paese, intrattenendo rapporti commerciali con aziende in tutto il mondo; Sergio, colombiano, travel blogger, ha fatto della sua passione per i viaggi un vero e proprio Lavoro.

Ma l’esperienza più importante ce la racconta Alex, ventisei anni, di San Pietroburgo

Come comincia la tua avventura?

Diciamo che il mio lavoro è sempre stato in “Smart working”, anche quando ero nel mio paese, anche da prima del covid.

Il non dover andare in ufficio penso sia stata una delle scelte che, dopo la laurea, mi ha fatto assaporare la libertà di poter decidere come gestire la mia vita. Non avevo l’obbligo di presentarmi in un posto ad una certa ora e questo diciamo che ha radicalmente cambiato tutto. Un anno fa, come tutti sappiamo, il mio paese è entrato in guerra, motivo per il quale mi sono trovato davanti ad una scelta: restare a San Pietroburgo ed essere costretto ad andare al fronte; oppure sfruttare la mia posizione di lavoratore agile e cambiare nazione, permettendomi una vita decisamente più agiata e sicura. Ovviamente ho scelto la libertà, senza entrare troppo nel merito di questioni politiche che non mi va di toccare.

Quali sono pro e contro di questa tua decisione?

Diventare un digital nomad mi ha dato la possibilità non solo di decidere da dove lavorare, ma anche di entrare a contatto con nuove culture, visitare nuovi posti e sperimentare un nuovo tipo di vita.
Tra i grandi pro sottolineo la mia attuale posizione economica: su un salario di quasi tremila euro, per vivere qui a Bali tra vitto, alloggio e spese necessarie spendo non più di seicento euro al mese. Il che vuol dire che il resto sono tutti soldi che riesco a risparmiare o comunque mando alla mia famiglia per poterli aiutare in questo momento di grossa difficoltà.
Tra i contro invece ti direi che il non avere radici equivale ovviamente a non avere stabilità: per via dei visti ovviamente non posso stare in un posto per più di un tot tempo, dipende dalle leggi del posto nel quale vado, quindi vuol dire non poter costruire legami stabili e sapere in partenza che la maggior parte delle persone che conoscerai saranno meteore nella tua vita; e poi la lontananza dalla famiglia, che molto spesso si fa sentire.
Io personalmente soffro maggiormente il non avere una casa tutta mia, il vivere costantemente con la valigia pronta alla meta successiva.
Un altro grande contro è l’adattarsi a dei fusi orari completamente diversi rispetto al posto nel quale ti trovi.
In questo preciso momento io lavoro con otto ore di fuso in avanti, il che vuol dire che se ho appuntamento per una videoconferenza alle 8:00 del mattino (orario di San Pietroburgo) sono costretto a connettermi alle 16,00 del pomeriggio orario di Bali; non sono mancate occasioni nelle quali mi sono ritrovato  a lavorare di notte fonda perché magari avevo appuntamento con un cliente alle 19, orario di San Pietroburgo.

È una scelta che consiglieresti?

Più che consigliare, è una cosa sulla quale inviterei a riflettere.
Ponetevi una domanda: quanto siete pronti a mettervi in gioco per un viaggio che ha un inizio ma probabilmente non ha una fine?
Io me lo sono chiesto e alla fine ho fatto la scelta più giusta della mia vita.

Alex, come tanti altri ragazzi, ha deciso di rendere il mondo la sua casa. Ha deciso di intraprendere non solo un viaggio alla scoperta di posti nuovi, ma un viaggio alla scoperta di se  stesso, dei suoi limiti e dei suoi punti di forza.

E voi, sareste in grado di fare lo stesso?

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