Storie di vita all'estero: da Intercultura ad Erasmus, un lungo viaggio per trovare me stessa.

 

Oggi hIr si è imbattuto in una storia particolarmente interessante. Un manifesto, uno sprono per tutte quelle persone che hanno voglia di sperimentarsi, conoscersi, m
a soprattutto aprire la mente ad orizzonti diversi. 
Silvia Zaccaria, nata e cresciuta a Rieti. Annata 2001, diplomata in un liceo delle scienze umane della sua città e oggi studentessa di Giurisprudenza.
Grazie all’esperienza di questa ragazza vi racconteremo come: un anno in Cina, grazie al progetto “Intercultura”; ed un anno a Madrid con il progetto “Erasmus”, possano realmente cambiarti la vita. 
Lasciamo però la parola a Silvia.

Partiamo dal principio, dove inizia il tuo viaggio? 
Il mio viaggio inizia a 15 anni, la mia scuola aderiva al progetto “Intercultura”: un programma di scambio culturale, gestito da un’agenzia privata, che offre la possibilità a studenti di tutto il mondo di provare l’esperienza di vivere in una realtà sociale e culturale diversa dalla propria. 
La prima parte della  procedura per l’iscrizione è simile a quella dell’Erasmus: c’è un bando, la compilazione di una domanda ed una graduatoria di mete prescelte. Il resto, invece, è differente: da lì ho fatto dei test psicoattitudinali, seguiti da colloqui orali divisi in più fasi; prima io con l’esperto, poi io con la mia famiglia e l’esperto, infine solo i miei genitori con l’esperto. 
Alla fine delle 10 mete di cui potevo disporre la maggior parte di quelle che avevo scelto erano in Sud America; fun fact, l’unica fuori dal Sud America era la Cina. Spoiler: sono stata presa in Cina. 

E come si è strutturata la tua esperienza? 
Diciamo che da un punto di vista accademico l’esperienza in Cina, è stata diversa da quella vissuta da altri conoscenti in altre situazioni analoghe.
Io non vivevo costantemente in famiglia, differentemente da come solitamente funziona lo scambio di Intercultura, ma stavo in una specie di college, con dormitori annessi; vivevo con altri cinque italiani e dieci tailandesi. 
Da un punto di vista di apprendimento linguistico questa possibilità di vivere a scuola con altri ragazzi non cinesi non mi ha svantaggiata, in quanto mi ha permesso di studiare la lingua più del normale; dall’altra parte però non mi ha dato la possibilità di conoscere a fondo la cultura tradizionale, quotidiana e familiare così come generalmente accade nei progetti di Intercultura. 
La scuola aveva orari rigidi, questa è una delle prime grandi differenze con il nostro modello accademico. 
La settimana si apriva il lunedì alle
7,30; dove ci si radunava sotto la bandiera e si cantava l’inno della nazione. Alle 8,00 iniziavano le lezioni: non studiavamo le materie tradizionali. Si faceva solo Cinese, dividendo le lezioni in: grammatica, punteggiatura, calligrafia e arte. Alle 12,00 terminavano le lezioni mattutine che sarebbero poi ricominciate alle 14. Tutto il pomeriggio era dedicato alla pratica orale e di scrittura dei caratteri. Dalle 17,30 alle 19,30 eravamo liberi di cenare e dalle 19,30 alle 21,30 c’erano le lezioni serali, per lo più verifiche che consistevano in dettati.
Era così tutta la settimana, fino al venerdì, dove si tornava a casa dalle famiglie e quindi non c’erano le lezioni serali.
Per quanto riguarda la vita in famiglia è stata particolare. Io personalmente ho cambiato due famiglie: la prima era una famiglia di ristoratori, il che ci portava spesso a spendere il fine settimana nel loro ristorante. Questo ovviamente portava a sacrificare la mia possibilità di “vivere la Cina”, e per questo motivo ci siamo allontanati.
La seconda famiglia invece mi ha lasciato tanto di piacevole, mi ha fatto vivere una Cina diversa e più coinvolgente. Diciamo che a differenza della prima famiglia, la seconda aveva una posizione sociale ed economica ben diversa, quindi avevano anche modo di dedicarsi a me in maniera differente, anche solo portandomi al cinema o in giro per la città. 
Ma non trovo l’esperienza in famiglia focale nel mio percorso in Cina, anche perché standoci solo di weekend ovviamente aveva una valenza nettamente marginale. Ero indipendente, e a sedici anni essere indipendente cambia tutto. 

Cosa ti ha colpito di questa esperienza? E cosa ti ha lasciato?
La prima cosa che mi viene in mente è la loro dedizione al lavoro e allo studio: vivono per questo. Non basta essere bravi, bisogna essere i migliori. Motivo per il quale i genitori fanno vero pressing ai figli per tutto ciò che riguarda le questioni accademiche.  
Sicuramente un’altra cosa che mi ha colpito è la sovrappopolazione: sono tantissimi e non è un modo di dire; ovunque vai c’è tanta gente, che può essere un pro e un contro. 
La loro dedizione all’attività fisica: passando tante ore seduti a studiare, passano poi parte del loro tempo libero ad allenarsi, anche semplicemente a corpo libero. 
Per la questione cibo, vi posso assicurare che non c’entra niente con il cibo cinese a cui siamo abituati. Quella è una rivisitazione occidentale. All’inizio non è stato facile, perché la loro cucina è particolarmente speziata, ma sopratutto piccante. Ma alla fine mi ci sono abituata, anche perché hanno un’alimentazione varia e sopratutto completa. 
La Cina mi ha lasciato tanto, ha fatto un po’ da spartiacque tra la me che è partita e la me che è tornata. Mi ha regalato indipendenza, che era una caratteristica di me già viva, ma è stata esaltata alla n potenza; tanta consapevolezza di me stessa  e dei miei limiti, superabili e non. Ma sopratutto mi ha insegnato quanto sia importante la famiglia. Ho avuto la fortuna di vivere il capodanno cinese, un mese di festeggiamenti dove tutta l’intera famiglia, anche i parenti più lontani, si riuniscono nella casa di campagna, tendenzialmente dei nonni, per festeggiano insieme tutto il mese del capodanno. In generale è un esperienza che consiglierei, perché ti permette di interfacciarti con una realtà così diversa dalla tua, da farti comprendere in maniera critica cosa ti piace realmente della tua vita.

Parlando invece dell’esperienza Erasmus, quanto è stato diverso? 
Ci sono sicuramente una serie di differenze fondamentali: in Cina sono andata inconsapevole, piccola, alla scoperta. Quando vai in Erasmus invece stai partendo per studiare, anche se poi a questo si aggiungono una serie di valori culturali, di lingua, esperienze, vita.
Varia il raggio di autonomia richiesto: più corto e rigido in Intercultura, più flessibile ed ampio in Erasmus.
Parlando invece del punto di vista tecnico si evidenzia subito una grande differenza: se quando sono partita per la Cina tutta la parte burocratica era quasi integralmente sbrigata dall’agenzia privata che se ne occupava, con il progetto Erasmus devi essere pronto a sporcarti le mani.
Senza soffermarci troppo su quelli che sono gli aspetti organizzativi, perché variano da facoltà a facoltà, ti direi che l’organizzazione antecedente al viaggio è sicuramente più rognosa. 
Il bando si apre a febbraio, di lì hai circa un mese di tempo per completare la domanda, fare i test per i requisiti linguistici e poi, per come è impostato nella facoltà di Giurisprudenza della sapienza, viene indetta una riunione dove vengono distribuiti i posti sulla base della graduatoria.
Io sono stata fortunata e sono riuscita ad accaparrarmi il posto nella città che volevo: Madrid.

Cosa ti ha regalato questa esperienza?
Partendo dal presupposto che per mia scelta personale ho deciso di non frequentare italiani, l’esperienza a Madrid è stata totalmente immersiva.
Da un punto di vista prettamente linguistico, la scelta che ho fatto mi ha permesso di entrare nel vivo della città, non come una studentessa Erasmus, ma come una studentessa universitaria. 
La prima grossa differenza che ho notato invece a livello universitario sono le modalità con cui si svolgono le lezioni e l’approccio che i professori hanno con gli studenti.
Le lezioni sono suddivise in ore di teoria e ore di pratica, che sono una componente per me importante e che nelle nostre università invece è quasi del tutto inesistente; e i professori, dovendo gestire anche classi più piccole, sono molto più predisposti al colloquio con lo studente, all’ascolto dello stesso e hanno un atteggiamento sicuramente più propositivo che ti invoglia ancora di più a seguire il corso. 
Nella mia università c’era l’obbligo di frequenza per le lezioni, cosa che non è comune a tutte le esperienze Erasmus, ma devo dire che sono stata contenta così. 
Da un punto di vista umano, Madrid mi ha aperto un mondo di esperienze; vuoi perché la città ben si predispone per vivere tutto a pieno, vuoi perché un po’ sono partita con questo spirito di scoperta. Ma, dalle persone che ho conosciuto ai luoghi che ho visto, posso dirti che non mi ha deluso nulla. 

Quali sono dei Pro e dei contro delle università estere, rispetto alle nostre? 
Stando alla mia esperienza, ti direi che uno dei più grandi pro è proprio la componente pratica che si svolge durante il corso: dalla risoluzione di casi reali, al l’interpretazione di sentenze. L’ho trovato particolarmente formativo e interessante.
Il voto finale dell’esame non è basato su tre domande fatte in una data specifica, ma è ponderato in percentuali: una parte la si ottiene da prove in itinere fatte durante il corso e l’ultima parte con un esame finale. Il che secondo me lo rende assolutamente meritocratico. 
Un contro invece è il fatto che non ci sono esami orali. Questa cosa è stata un contro per me, perché prediligo questa tipologia di esame e mi rendo conto del fatto che una facoltà come giurisprudenza, abbia la necessità di fare esami orali, anche solo per sviluppare al meglio l’arte della retorica.

Quali sono tre caratteristiche di te che pensi ti siano state utili in queste situazioni? 
Come prima ti direi il mio spirito critico: quando ti ritrovi in situazioni così travolgenti, sia da un punto di vista emotivo, ma anche di semplice entusiasmo, è secondo me importante saper distinguere esperienze positive da esperienze negative. In questo senso mi sono sempre fatta guidare dal mio occhio critico e alla fine mi è andata bene. 
Come secondo ti direi la tenacia, perché ovviamente esperienze di questo tipo portano con se difficoltà, dalle più banali, alle più ostiche. E se non 
fossi stata una ragazza tenace, probabilmente avrei mollato. 
E come ultimo ti direi la mia intraprendenza, il gettarsi di testa nelle situazioni, senza farmi troppe domande.


Qual è un consiglio che ti senti di dare a qualcuno che vuole fare un’esperienza simile alla tua? 
Per prima cosa: sappiatevi rivedere le vostre cose da soli. Dovete essere un passo avanti, burocraticamente parlando, perché uno dei più grosso gap è proprio questo. Non affidatevi al lavoro degli altri, fate voi le vostre cose. 
E poi buttatevi, lasciatevi alle spalle gli schemi e i pregiudizi che avete su voi stessi, dettati magari dal posto dal quale venite. Sfruttate questa come occasione per scoprivi, per essere voi stessi, per migliorarvi ed evolvere. 
Ma sopratutto, se ne avete la possibilità: FATELO! Perché è davvero un’esperienza, che sia in positivo, che in negativo, ti cambia la vita. 

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