La strada di Danila - dai chioschi sulla spiaggia al suo Mamamomo





Quanti di voi hanno mai sognato, almeno una volta nella vita, di avviare una propria attività? Quanti di noi almeno una volta si sono ritrovati a pensare, “ma quanto sarebbe bello se avviassimo il nostro pub, ristorante, bar?” Il problema resta lo stesso:  come si fa a diventare un imprenditore? 
Oggi grazie a Danila e alla sua storia, scopriamo insieme come muovere i primi passi nel mondo dell’imprenditoria.
Partita in uno stabilimento balneare nelle pause estive dalla scuola, al diventare manager di un locale nel centro di Roma, per poi decidere di avviare, insieme al suo compagno, un locale di nome “Mamamomo” nel vivace quartiere del Pigneto di Roma. 
Ma facciamocelo raccontare da lei. 

Partiamo dall’inizio, dove inizia questo viaggio? 

I primi passi li ho mossi quando ancora andavo a scuola. Frequentavo un liceo artistico e l’estate mi lanciavo nei classici lavoretti estivi che fanno gli studenti: al chiosco sulla spiaggia. Niente di particolare. Ma mi ha dato la base per imparare il duro mestiere che orbita intorno alla ristorazione.

Fondamentalmente mi sono sempre poi destreggiata in questo ambito, periodi più o periodi meno. Finché poi non mi sono finalmente diplomata e sono andata all’università.

Lì dividiamo il mio periodo in due fasi principali: una fase romana, dove essendo vincitrice di borse di studio utilizzavo le risorse acquisite nelle lunghe estati al mare come extra, perché fondamentalmente qualsiasi lavoro nella ristorazione, dal cameriere al barman, ti dà una liquidità facile e per arrotondare sono perfetti; ed una seconda fase invece ad Urbino dove invece non avendo la borsa di studio mi sono dovuta lanciare a capofitto in questo ambito per potermi mantenere. 

Terminato il mio percorso di studio all’accademia di belle arti, tornai a Roma, alla ricerca di fortuna. Lì incrociai il mio primo vero bivio. 

Gettarmi a capofitto nel mondo del teatro, ambito per il quale avevo studiato e fatto tanti sacrifici, consapevole che non mi avrebbe permesso di sostenermi; oppure far diventare quel lavoretto, iniziato a coltivare tante estati prima, un lavoro serio e remunerativo. 



E di lì come hai deciso di muoverti? 

Inutile dirvi quale fu la mia scelta.

Per una serie di fortunati eventi però la strada sembrava essersi spianata da sola, anche se con non poche difficoltà. 

Iniziai a lavorare in un locale in centro a Roma.

All’inizio non fu proprio una cosa semplice, anche perché va bene avere tanti anni di esperienze alle spalle, ma nella vera e propria ristorazione non c’ero mai stata. Almeno, non con quel tipo di servizio. Non con quelle modalità.

È stata un’esperienza che mi ha permesso non solo di crescere come persona, come donna, ma anche come lavoratrice. Ho imparato tantissime cose su me stessa, come ad esempio la mia passione per il relazionarmi con le persone, contrariamente a quanto direbbe poi il mio fare timido. 

Diciamo che poi la crescita lavorativa è stata direttamente proporzionale a quella personale. 

Più passava il tempo, più con i titolari si instaurava un rapporto di fiducia reciproca, più le mie responsabilità aumentavano, più ovviamente iniziavo a ricoprire ruoli manageriali. 

Arrivati ad un certo punto gestivo quasi la totalità degli aspetti del posto e nell’opera di espansione dei titolari, io e il mio compagno Tareq, chef del ristorante, venivamo spostai in coppia per le nuove aperture.

Ovviamente io mi occupavo della gestione e formazione della sala, mentre lui faceva la stessa cosa per la cucina.

Un duo funzionale, tanto funzionale da poi farci decidere di passare insieme non soltanto il tempo lavorativo, ma anche quello personale.
Già lì si immaginava di avere qualcosa di nostro un giorno, ma allora, per l’appunto, era solo un sogno lontano. 

Finché un giorno i titolari decisero di vendere: vendendo, i nuovi titolari subentrati ovviamente avevano idee di gestione e modi di fare totalmente diversi da quelli ai quali avevamo fatto riferimento per anni. L’apice fu il demansionamento dopo anni passati a gestire quel posto. 

Non ressi il colpo. Anche qui mi ritrovai difronte al bivio del: cerco altro o mollo tutto e mi re-invento. 

Questa volta scelsi meno di pancia e accettai di dare una mano come part-time, giusto per potermi guardare ancora intorno, nel locale in cui lavorava un’amica ad Ostiense, un altro quartiere di Roma.


E anche  qui sei dovuta ripartire dal “basso”? 

Ma ti direi relativamente, alla fine in quel momento era anche una mia scelta. 

Ma non durò troppo, perché alla fine quello era ed è un mondo che mi piace da morire, motivo per il quale mi ci ritrovai di nuovo immersa, con le solite tante responsabilità.

Ma questa volta fu diversa, la brigata era famiglia, l’ambiente era diverso. Il posto ci sembrava rappresentare noi. Così quando si presentò il momento, per meglio dire però, l’occasione, ci facemmo avanti e rilevammo il locale: io, Tareq e altre college, nonché amiche.

Questa è stata la mia prima reale esperienza nel mondo dell’imprenditoria.

Prima di tutto abbiamo creato una società, versando dei conferimenti; ovvero il contributo da apportare all’impresa.

Una volta versato il conferimento, si è all’effettivo soci.

Questo diciamo che si è poi trasformato in un grosso problema quando abbiamo deciso, io e Tareq, di lasciare la società.


Come mai avete preso questa decisione? 

Senza entrare nei meriti della questione, non ho mai voluto tirare acqua al nostro mulino, né  tantomeno avrei oggi qualcosa da ridire in merito. Dico solo che avevamo idee divergenti e non era più possibile cooperare per un progetto comune.

La fortuna, nella sfortuna, è stata che in concomitanza di questa decisione, quindi quella di scioglierci dalla società precedente per aprirne una nostra, abbiamo conosciuto l’equipe di esperti che ancora oggi ci segue e sostiene nel nostro locale.

Il loro intervento è stato vitale, dato che tutti i disguidi che si erano venuti a creare con la società precedente ci stavano mettendo non poco i bastoni fra le ruote con il nuovo progetto.

Sta di fatto che, usciti da questa brutta storia, ci siamo seduti a tavolino, io e il mio compagno, nonché socio, e ci siamo detti: ora o mai più. 


E come nasce l’idea di Mamamomo?

Spiegarti come nasce il nostro concept non è facile, non perché sia complesso, ma perché potrebbe risultare un po’ filosofico.
Partiamo dal presupposto che volevamo trovare un luogo dove esprimere noi stessi, le nostre personalità. Volevamo creare un ambiente con carattere, non il localetto dove vai a bere la birra e ti dimentichi pure dove sta.

Non stavamo cercando qualcosa di astratto, ma semplicemente qualcosa che ci rappresentasse. 

Un posto nel quale sia noi, come lavoratori e fondatori, ma anche i clienti, potessero in qualche modo sentirsi a casa.

Ed è stato il concetto che abbiamo cercato di seguire con l’arredamento, con i piatti del menu, ma anche con lo staff. Abbiamo fatto tanti colloqui, ma abbiamo cercato e selezionato solo persone che ci sembrassero, almeno in una fase iniziale, in linea con la nostra idea, con il nostro progetto. 

Se vuoi anche sapere come nasce il nome di “Mamamomo”, non so dirtelo con precisione; una sera eravamo forse a casa e abbiamo iniziato a dire parole, cose che potessero richiamarci in qualche modo un concetto.

E io non so perché ma mi è venuto questo “mamamomo”, che per come doveva essere il logo iniziale, aveva tutta un’altra conformazione; si presentava come una scritta fatta solo integralmente da triangoli, scrissi la bozza su un biglietto del bingo! Mi sembrava una perfetta idea all’ora, oggi invece ho modificato il logo, cercando di far trasparire attraverso questo l’idea che cibo e beverage sono due facce della stessa medaglia, ma che se ben calibrati, in un mix perfetto di tutte quelle che devono essere le caratteristiche di un locale, almeno secondo me, tirano fuori la luce. Che è un po’ quello che succede al nostro logo, un fagotto, un raviolo, composto da due parti, che aprendosi sprigiona luce.


E quali sono gli step fisici che uno deve seguire per poter iniziare ad avviare il proprio progetto? 

Senza scendere in dettagli burocratici e macchinosi ti do un paio di dritte, partendo da tre grandi aree: i fondi, le licenze e il luogo.

Per quanto riguarda i fondi, se uno ha la fortuna di averli, tanto di guadagnato. Ma se deve andarseli a cercare non deve avere paura di bussare a più porte, sentire più pareri. 

Nel nostro specifico caso, potevamo contare su poco e ancora oggi stiamo aspettando che ci venga data una Naspi (dal lavoro nella società precedente) che ci spetta in quanto soci lavoratori, che ti dirò in alcune situazioni sarebbe stata una mano santa.

Io non amo parlare di soldi, non amo chiederli, non mi piace dovermi relazionare con la gente per questo motivo. Ma ovviamente  se si vuole raggiungere un obiettivo, bisogna anche essere in grado di mettersi in gioco. 

Per la questione “permessi e licenze” vi dirò che non tutti possono avviare un’attività di questo tipo, bisogna avere delle conoscenze alle spalle; queste conoscenze possono essere compensate da: tre anni complessivi di un regolare contratto di terzo livello, che diciamo fanno si che tu abbia una conoscenza del ruolo del manager, garantendo quel minimo di esperienza che poi porta la pubblica amministrazione a darti le licenzie necessaria per aprire. Nel caso di questa carenza, si può sopperire alla cosa attraverso dei corsi, che però ahimè costano tanto e non ti formano quanto lo stare sul campo. 

E per quanto riguarda il luogo, anche quello è importante. Se si completano i passaggi precedenti, il luogo resta l’emblema della vostra idea, di quello che volete esprimere e sopratutto ti fa anche capire in che direzione ti stai muovendo, di quanta pubblicità avrai bisogno, con che tipo di clientela laborerai, su cosa puoi puntare e su cosa no.

Fondamentalmente uno in queste fasi preliminari se la rischia tantissimo. Perché potresti temporeggiare per prendere il posto, attendendo l’arrivo delle licenze per poter partire, ma a quel punto rischi di perdere il posto che avevi scelto per la tua attività. Bisogna rischiarsela un po’, bisogna avere il coraggio di provarci e vedere come va. 


E voi come mai avete scelto il Pigneto per la vostra attività? 

In realtà non era la prima scelta, come dice spesso anche Tareq: né io né mia sorella Flavia, nonché Barman di Mamamomo, all’inizio eravamo troppo d’accordo con la zona.

Non perché non ci piacesse, ma perché semplicemente non la conoscevamo. 

Studiandola a fondo è invece emerso il suo infinito potenziale. 

Prima di prenderlo, all’effettivo il locale si presentava bene e aveva le fattezze di quello che stavamo cercando; un posto accogliente, dove i lavori e le migliorie non erano troppe e troppo dispendiose.

Poi ci siamo convinti, tutti quanti, ma lì arriva il bello: quando si sta cercando di prendere un locale, è difficile che si sia i soli a concorrere per lo stesso; quindi come eravamo interessati e intenzionati noi, ovviamente lo erano anche altre persone.

Ma alla fine ci siamo riusciti, tutti insieme. 


Quali sono i pro e i contro del fare l’imprenditrice? 

Allora io fatico ancora a definirmi in questo modo, non perché faccia la modesta, ma perché qui dentro mi sento quasi più una collaboratrice, nonostante poi mi renda conto del fatto che così non è.
Il primo pro forse sta proprio in questo: nella gestione autonoma delle cose.

Posso prendere delle decisioni senza dover avere la paura di chiedere o di esprimere la mia idea a qualcuno che sta sopra di me; ed è il mood che cerco di trasmettere anche a lavoro: cerco il dialogo, mi piace il confronto, scambiare idee e pareri. Dall’altra parte come grande contro è che hai tante, tantissime responsabilità. Che diciamo è il lato negativo di qualsiasi cosa.

Fondamentalmente io ho deciso di conviverci bene, cioè non passo le notti in bianco chiedendomi come risolvere determinate situazioni, perché altrimenti non stacco mai e se non stacco mai la testa lavoro male e faccio lavorare male anche il mio team. 


E che consiglio daresti a chi vuole intraprendere un percorso che lo porti ad avere una sua attività? 

Io gli direi che deve avere le idee chiare, come prima cosa. Un progetto vago non ha effetto su nessuno, perde nel tempo e non ti sprona a proseguire.

Date un’immagine a quello che volete creare, dategli un carattere, delle sembianze, vedrete che sarà sicuramente più facile.

Da un punto di vista tecnico vi direi di informarvi su quali sono tutti i passaggi essenziali ma sopratutto di farvi affiancare da figure competenti e poliedriche.

Lavorate con gente che sa quello che sta facendo, sopratutto nel backstage, li dove serve davvero una conoscenza profonda della legge, delle finanze, del mondo del commercio.

E poi crederci, che male non fa.

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