Tutte le facce di Roberto - Postino, attore e tutto il resto



Oggi abbiamo parlato con Roberto, 42 anni, originario di Anzio ma a Roma da “sempre”. 
Racchiudere Roberto in un’unica parola è complicato: sono tante le vite che ha deciso di vivere e le strade che ha deciso di percorrere. Portalettere per Poste Italiane di professione; allievo, attore ed insegnante di teatro da tutta la vita; laureato in filosofia quando già lavorava. 
Ci ha raccontato di come ‘a vent’anni non dici di no’ ad un posto fisso, ma anche come questo non può e non deve limitare la scelta di muoversi in altre direzioni, perseguire i propri sogni e seguire le proprie passioni. 
Insomma, Roberto ci insegna che avere un piano B non vuol dire rinunciare al piano A, e che ambiti appartenenti a piani diversi possono intrecciarsi ed incastrarsi senza che necessariamente solo uno di questi debba definirti pienamente. 

Raccontaci un po’ di te, del percorso che ti ha portato qui oggi. 

Partendo dal principio, mi sono trasferito a Roma da Anzio finito il liceo, con il sogno di fare teatro. Avevo iniziato ad appassionarmi a quel mondo per caso, mi ero iscritto ad un laboratorio per acquisire crediti che mi servivano per il diploma; invece ho scoperto che mi piaceva davvero e che ero portato. 

Una volta che mi sono spostato a Roma, però, questo è andato un po’ a bloccarsi perché non conoscevo nessuno e non sapevo bene come muovermi.

Così, al contempo, ho fatto un concorso per lavorare in Poste Italiane: l’ho vinto ed ho ottenuto un contratto a tempo indeterminato per il ruolo che svolgo tuttora, quello del portalettere. 


Una volta iniziato a lavorare in Poste Italiane, un mio vecchio contatto del liceo mi ha dato modo di rientrare anche nel mondo del teatro, proponendomi come suo sostituto nella segreteria di una scuola di recitazione. 

Così la mattina, dalle 7 alle 15, andavo a lavoro in Poste; per poi andare tutto il pomeriggio a fare il segretario, tanto vicino alle sale delle lezioni da sentire quello che veniva detto, quello che veniva insegnato. 

Fu Riccardo Garrone, che faceva le prove di uno spettacolo proprio in una sala di questa scuola, a guardarmi un giorno mentre passava davanti alla segreteria e a dirmi ‘tu dovresti stare lì dentro’. Così ho parlato con la direttrice ed ho iniziato a barattare il lavoro in segreteria con la retta di un laboratorio specializzato in metodo Stanislavskij – Strasberg. 

Questa scuola mi ha dato tanto: l’ho frequentata per sette anni, impiegavo le mie ferie estive per andare a workshop con insegnanti americani, partecipavo a tutto quello che rientrava nelle mie possibilità. 

Ho proseguito in questo settore con la formazione per l’insegnamento, la pedagogia teatrale: dopo aver fatto le mie esperienze sul palcoscenico, mi sono lanciato in questa nuova avventura. Ho tenuto per quattro anni un mio laboratorio, quando posso volo a Catania dove tengo dei workshop intensissimi di tre giorni che hanno riscosso un bel successo. 


Insomma, ho il mio lavoro ormai da vent’anni che è quello che è, e mi piace. Quello che ha a che fare con il teatro, con l’ambito artistico, glie lo incastro intorno, e fino ad oggi ci sono riuscito abbastanza bene. 


Focalizziamoci un attimo sul tuo lavoro in Poste Italiane: come funziona? Come ci sei arrivato?

Allora, partendo dal “come ci sono arrivato”, diciamo che io ho fatto il concorso quasi per caso, me ne aveva parlato mia madre. È stato un processo lungo, circa un anno e mezzo da quando ho iniziato il concorso a quando sono stato effettivamente assunto. 

Nel dettaglio si componeva di 4 o 5 prove, a partire dai test attitudinali, di logica, di cultura generale. Poi il colloquio individuale con la società esterna che si occupava delle assunzioni, e infine il colloquio di gruppo. Di quest’ultimo ho un bel ricordo: eravamo una decina, e ci chiesero perché avessimo scelto questo lavoro. Molti se ne uscirono con frasi come ‘per dare il buongiorno alle persone ogni mattina’ e cose simili; quando toccò a me risposi ‘perché mi serve un lavoro’, e il direttore di colloquio rispose ‘finalmente un ragazzo che dice la verità!’. Fatto sta che dopo qualche tempo mi hanno chiamato, e nel giro di due settimane avevo firmato un contratto di apprendistato di tre anni, poi rinnovato automaticamente in indeterminato. Ho iniziato a lavorare il 2 settembre 2002 e non ho più smesso. 
Adesso ovviamente è un po’ diverso: il percorso per arrivare al contratto a tempo indeterminato è più lungo e meno frequente; e anche chi ci arriva non ha esattamente le stesse tutele e la stessa retribuzione di cui beneficia chi è stato assunto tanti anni fa. 
Alla fine ad oggi sono più gli anni che ho passato in Poste Italiane di quelli che ho vissuto con la mia famiglia di origine: è diventata un po’ questa la mia seconda famiglia, è un ottimo ambiente in questo senso. 


Nella pratica il mio ruolo è quello del portalettere: alle 7:30 timbro il cartellino; raccolgo, sistemo ed organizzo la posta di mia competenza; ed infine esco a portarla. 

Ho la fortuna di lavorare in quartiere bello come quello di Borgo Pio, vicino al Vaticano, che alla fine è come un paesino: sempre in festa e pieno di turisti, ma sopratutto dove si è rivelato fondamentale creare rapporti con le persone. 

Certo, da una parte una società grande come Poste Italiane tiene molto a risultati, numeri, protocolli ed obiettivi; in ufficio è necessaria una certa formalità; partecipiamo costantemente a corsi di aggiornamento e di formazione, è impegnativo sotto questo punto di vista.

Dall’altro lato, però, quello che è alla fine il mio ruolo è diverso: ci sono utenti che mi invitano a cena, hanno il mio numero di telefono se dovessero tornare a casa e trovare un avviso di raccomandata, ho visto crescere i loro figli e li vedo adesso iscriversi all’università. Penso a quando in periodo di lockdown mi chiamavano per farsi portare un litro di latte, qualcosa da mangiare perché non potevano uscire. Insomma, ti da la possibilità di avere comunque contatti, rapporti umani, interfacciarti con tante persone. 


Com’è il continuo conciliare questi due aspetti così differenti della tua vita, quello artistico e quello lavorativo?

Come dicevo prima, il lavoro alle Poste è quello, e devo impegnarmi per incastrarci il mondo del teatro,
sopratutto come orari: quando tenevo i laboratori dovevo farlo di sera, per spostarmi e tenere workshop altrove devo organizzarmi tra ferie e disponibilità aziendali. 

Questo per quanto riguarda la parte strettamente logistica. 

Per il resto devo dire che il teatro, quindi il mio aspetto più artistico, mi ha aiutato e mi aiuta tuttora nel lavoro: è stato un allenamento di empatia, di comunicazione, di comprensione. 

Mi rendo conto da allievo, da attore e da insegnante di teatro sono riuscito ad acquisire tanto una capacità di avere a che fare con i nuovi arrivati e comprenderne le difficoltà; quanto quella di rapportarmi con i miei superiori. Quello che ho imparato infatti è proprio il come pormi, come affrontare certe dinamiche e comprendere certi comportamenti, che ha portato stesso i miei superiori a vedermi come un punto di riferimento, a riconoscermi una certa stima e rispetto. 

Le due cose alla fine sono collegate. 


Negli anni mi sono sentito dire molte volte ‘puoi recitare, puoi insegnare. Perché non fai solo questo?’. 

Certo, quando vinci un concorso a vent’anni e ti viene garantito un lavoro a tempo indeterminato, questo ti crea una sorta di gabbia, non è facile cambiare piani. Ad oggi lasciare il mio lavoro sarebbe da sciocchi, dovrei completamente reinventarmi e non ho più venti o trent’anni. 
Però credo ci siano alcune cose importanti da dire: da una parte vent’anni di lavoro in Poste non mi hanno solo permesso di soddisfare i miei bisogni, ma anche i miei capricci; di acquistare una casa; di avere una mia, importantissima, stabilità. 
Ovviamente in un periodo di pandemia come quello che abbiamo vissuto in questi ultimi anni io sono stato un privilegiato, ho continuato a lavorare sempre, mentre tanti colleghi attori si sono trovati in situazioni devastanti: in molti mi hanno anche accusato, in qualche modo, di aver avuto il culo parato. Certo che l’ho avuto, ma perché sono un lavoratore, mi impegno ogni giorno e da vent’anni ogni mattina mi alzo alle cinque per guadagnarmi da vivere, non perché qualcuno mi abbia regalato soldi in periodo di pandemia! Da un’altra parte, l’avere un lavoro fisso mi ha permesso anche, negli ultimi anni, di allontanarmi un po’ dal mondo del teatro. Per questioni personali mi sono un po’ fermato: non credo sia giusto, quando non sei nelle condizioni di offrire il tuo 100% e trasmettere quello che puoi, continuare a portare avanti corsi, workshop e via dicendo che le persone pagano e a cui tengono.
Queste considerazioni mi portano sempre a credere nell’importanza di avere un piano B: è fondamentale. Questo non vuol dire non seguire le proprie passioni, o non crederci; lo dico sempre nei workshop ai ragazzi: vuoi fare l’attore? Bene. Lavoriamo sull’attore, sarai un attore. Però trovati anche un piano B. 
Questo non vale solo per gli ambiti artistici, ma per tutti: può sempre succedere qualcosa, cambiare qualcosa. Anche per chi sta studiando: può capitare di non riuscire a diventare quello che si desidera, ma sopratutto quello in cui si sono investiti tempo e risorse, fisiche e mentali. 
Ed è bene avere un paracadute. 


Quali sono tre caratteristiche di te che credi ti siano state utili?

Come prima cosa direi l’empatia, sono uno che riceve molto di pancia. Come seconda cosa lo spirito di sacrificio, e come terza l’abitudine a non lamentarmi: se una cosa va bene è perché l’ho fatta bene, mi sono impegnato; se va male vuol dire che ho sbagliato qualcosa, ho in qualche modo fallito o non ho mai dato il mio 100%. 


Che consigli daresti a chi ha vent’anni e sta cercando di creare la propria strada?
Il primo, fondamentale, è quello di ricordarsi che abbiamo la nostra dignità. Una dignità sul lavoro, nella vita. Pretendere che le persone che ci circondano lo riconoscano. Questa è una cosa da non dimenticare mai, me ne accorgo ancora oggi che lavoro da vent’anni. L’importanza di riconoscere la propria dignità.

Come ho detto spesso nell’intervista, un altro consiglio è quello di lasciarsi aperte più strade, avere un piano B, che dia stimoli e possibilmente una sicurezza economica. 

Avere un piano B però, non vuol dire abbandonare le proprie passioni, ma solo garantirsi un’alternativa nei momenti di incertezza. 

Quindi contemporaneamente, mi sento di dirvi anche: investite nel sogno! Impegnatevi nel vostro obiettivo, perseguitelo, metteteci tutti voi stessi.


L’ultima cosa: se anche doveste avere famiglie alle spalle che riescono a mantenervi, situazioni economicamente avvantaggiate e fortune di questo tipo, viviate sempre come se non le aveste, non appoggiatevi su questo. 

Esplorate strade lavorative, fate esperienze: camerieri, baristi, commessi, qualunque cosa, anche solo qualche giorno a settimana. Queste sono occasioni che formano, insegnano a “lavorare sotto padrone” e danno introiti utili nel portare avanti il proprio progetto. 


Concludo tornando a sottolineare la cosa fondamentale: ricordatevi che valete. Non abbattetevi, non fatevi abbattere. Avete il vostro valore. 

Commenti