Storia di un'insegnante - sogni da 24 cfu


hIr oggi approda nuovamente nella ridente Puglia. A parlare con noi è la giovanissima Giorgia Vivacqua, ventiquattro anni, nata e cresciuta a Taranto. Giorgia ci racconta di un percorso di vita altalenante, frastagliato fra diverse scuole, un percorso di crescita personale che oggi l’ha portata a trovare un suo piccolo spazio nel mondo dell’insegnamento. 

Tra qualche risata e momenti di riflessione, ci ha insegnato una lezione importante: non serve nella vita sapere sin da subito dove si vuole arrivare, perché spesso i veri obiettivi li fissi solo una volta che ti sei scoperto. Quindi non abbiate fretta, perché la strada vi sarà chiara quando arriverà il momento. 


Dove inizia il tuo percorso? 

Diciamo che non sono mai stata una studentessa modello, non ero una particolare amante della scuola. Non tanto per il vincolo di studio, perché fondamentalmente sono sempre stata una ragazza curiosa, quindi studiare mi piaceva, ma non mi piaceva doverlo fare a comando. A quattordici anni avevo altri interessi, volevo uscire con le amiche, fare sport, non sicuramente passare tutti i pomeriggi sui libri; motivo per il quale dopo aver iniziato con un liceo scientifico mi sono spostata in un istituto alberghiero, che mi ha aperto la mente su un lavoro che tutt’oggi amo tanto: quello nel mondo della ristorazione. 

Mi dispiace un po’ non essermi mai diplomata lì. Il quinto anno ho avuto più di qualche problema, non avevo davvero più voglia di studiare, quindi per evitare di essere bocciata, mi sono trasferita in un istituto privato ad indirizzo socio sanitario. 

Dopo il diploma mi sono iscritta alla facoltà di scienze sociali e politiche di Lecce, ma non ho mai davvero frequentato. È stato un anno pieno di lavoro, mi sono lanciata a capofitto nel mondo della ristorazione, anche perché quella facoltà era stata un pessimo ripiego alla mia prima scelta: scienze della formazione primaria; della quale avevo fatto i test di ingresso, ma non ero riuscita a superarli. 

Quando sono riuscita ad entrare, finalmente, ho preso i 24cfu per l’insegnamento e senza nemmeno farlo apposta mi si è presentata una prima occasione di lavoro nell’istituto paritario nel quale mi sono diplomata. 

All’inizio ero un po’ scettica; da ragazzina che dalla scuola preferiva scappare a donna seduta dietro una cattedra, mi ci vedevo e non mi ci vedevo, ma alla fine ho deciso di buttarmici. Ed è stata la scelta migliore della mia vita. 


Cosa insegni? E come si svolge una tua lezione? 

Insegno Metodologie operative; una materia particolarmente laboratoriale, dove studiamo tecniche e metodi utili per lo sviluppo di un operatore socio sanitario. Il tutto si simmetrizza nello studio delle diverse tecniche d’approccio a utenti di vario tipo: dagli adolescenti problematici, agli anziani. Non è una materia facilissima da insegnare, soprattutto data la mia giovane età, però devo ammettere che in questo anno e mezzo mi ha permesso di imparare anche tanto su me stessa, cosa che mi piace ribadire in classe, perché è importante imparare e studiarsi. 

Non sono una fan delle lezioni tradizionali, la lezione frontale spicciola la trovo improduttiva. Con i miei studenti preferisco creare un rapporto basato sul reciproco ascolto. 

A livello strutturale insegno in tutte le classi dal primo al quinto anno, per un totale di nove ore settimanali. Le mie sono quasi sempre o la prima o l’ultima ora, motivo per il quale ho deciso di creare un “salotto interattivo”, nel quale non c’è l’obbligo di stare seduti e fermi sulla sedia come pupazzi, non è importante l’ordine apparente. Solitamente cerco di fare un massimo di venticinque minuti di lezione, con cinque minuti di intervallo nei quali defatico i ragazzi, chiedendo loro osservazioni su quello che è stato spiegato, parlando con loro di situazioni reali nelle quali ritrovare gli elementi precedentemente esposti. Dopodiché li aiuto nel creare un metodo di studio al fine di poter affrontare la materia: che siano mappe concettuali o brevi riassunti, scritti di loro pugno sulla lezione, che poi formeranno il materiale utile per le successive interrogazioni. 

Non so se questo in qualche modo renda le mie lezioni più interessanti, però vedo che i ragazzi riescono a seguirmi con più facilità rispetto ai 60 minuti canonici di lezione. Mi stanno dietro, alle interrogazioni rendono e questo mi da un sacco di soddisfazione. 

Ma il mio lavoro non si ferma solo in classe, continua anche a casa. Solitamente preparo io il materiale per le lezioni: da powerpoint a materiale video, tutti strumenti che oltre ad essermi utili per mantenere il filo del programma, aiutano anche i ragazzi a capire che la mia materia non è solo un insieme di informazioni contenuta in un libro di testo. Decontestualizzata dal manuale scolastico, secondo me, invoglia tutti un po’ di più. 

In più il pomeriggio do ripetizioni di italiano, storia e geografia in un doposcuola organizzato sempre dall’istituto nel quale insegno. 


Ti senti differente dagli insegnanti che hai avuto? 

Sicuramente la mia giovane età mi aiuta ad entrare in contatto con gli studenti in maniera diversa, per loro posso essere un buon punto di riferimento, visto che abbiamo più cose in comune di quanto possano pensare. Ma non mi sento né meglio, né peggio di chi mi ha preceduto o chi mi ha istruito durante il mio percorso. 

Sono fermamente convinta che l’insegnamento sia una cosa estremamente personale, nonostante esistano linee guida, studi e metodi applicativi, mi piace pensare che ognuno di noi possa metterci del suo, per trasmettere non soltanto l’argomento del giorno, ma anche un punto di vista diverso, utile magari a creare un confronto, che non fa crescere solo i ragazzi, ma anche noi docenti. 


C’è qualcosa che cambieresti nella scuola odierna? 

Siamo in un periodo storico nel quale sfortunatamente la precarietà lavorativa, soprattutto nel mondo degli insegnati, è dato dallo slittamento dell’età pensionistica. Il nostro è un sistema scolastico in evoluzione, che però è sorretto da persone appartenenti ad una generazione che molto spesso è troppo in conflitto con quella attuale; il che crea non soltanto problemi relazionali, ma spinge gli studenti ad allontanarsi dalla scuola, perché non si sentono capiti, ascoltati, compresi. 

Non voglio che passi il messaggio del: se sei un insegnante giovane, allora di conseguenza sarai brava e saprai trattare con i ragazzi, assolutamente no. 

Però voglio che sia chiara la mia posizione sulla duttilità che dovrebbe avere un insegnante. Il conseguimento di un titolo e di una formazione per poter accedere all’insegnamento, non fa di noi essere infallibili, non fa di noi esseri superiori. L’unico punto in più che abbiamo rispetto ai nostri alunni è una conoscenza più approfondita della materia che trattiamo, e questa è una cosa che la vecchia generazione di insegnanti non ha molto chiara. Perché spesso ho notato come quest’ultimi abbiano fatto loro un metodo di insegnamento ad oggi inattuabile. 


Dove ti vedi tra dieci anni? 

Mi piacerebbe insegnare italiano e storia in una scuola media. 

Le scuole medie sono una delle fasi peggiori che si vive nella vita, i ragazzi non sono facili da gestire, ma se riesci ad entrarci in sintonia puoi sicuramente aiutarli a crescere in maniera diversa. Vorrei poter essere una di quelle insegnanti che non aiuta i ragazzi solo ad imparare nozioni storiche sicuramente importanti, vorrei poter essere un sostegno anche da un punto di vista umano, con la lotta al bullismo, per esempio. 

Quando parlo di lotta al bullismo, non parlo di lotta al bullo, che è una cosa diversa. Parlo di integrazione, di insegnare ai ragazzi che anche queste sono manifestazioni di qualcuno che ha bisogno di essere ascoltato, ma non sa come esprimersi. 


Quali sono tre caratteristiche di te che pensi ti siano d’aiuto in questo ambito? 

La prima sicuramente è la mia propensione all’ascolto. Mi piace ascoltare gli altri, lo trovo stimolante. 

La seconda il mio essere affabile e socievole. Non sono una persona timida, questo mi permette di potermi mettere in comunicazione con tutti. 

Ed infine una mia personale interpretazione della parola “rispetto”: non inteso come un atteggiamento arcaico, basato su un ordine gerarchico. Ma come un atteggiamento di accoglienza e calore nei confronti di tutto quello che è diverso da me e che spesso a primo impatto non riesco a capire. 


Qual è un consiglio che vorresti dare a chi vuole intraprendere questo percorso? 

Armatevi di buona volontà, pazienza e un’enorme lente di ingrandimento su voi stessi. Il problema della scuola non sono gli studenti, ma noi insegnanti che molto spesso non siamo capaci di fare auto-critica. Siate pronti a mettervi in discussione a scardinare le vostre convinzioni per lasciar spazio alla costruzione di qualcosa di nuovo, che poi magari sarete costretti ad abbattere lo stesso. 

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