Professioni sanitarie - Non sapevo di voler fare l'ortottista

 


Abbiamo avuto il piacere di parlare con Erika Martini: ventisei anni, ortottista, ferrista in sala operatoria e amante della vita e della natura. Erika ci ha coinvolti in questo suo percorso fatto di tanti sacrifici, scelte non semplici, ma anche grandi soddisfazioni.Dagli ospedali italiani all’esperienza fatta in un paese del terzo mondo, questa Donna ci aiuta a conoscere mille sfaccettature di un mestiere che prima non avevamo neanche noi tenuto troppo in considerazione.

Ma quindi, chi è e cosa fa un Ortottista? 

Se ti fa piacere saperlo, prima di iniziare il percorso universitario che mi ha poi portata dove sono oggi non lo sapevo neanche io! 

Quindi prima di raccontarti il mio percorso, ti spiego chi è la mia figura.
L'ortottista è un professionista sanitario laureato che lavora in campo oculistico con particolare competenza nello screening, nella valutazione e riabilitazione visiva e dei disturbi motori degli occhi. Si occupa dell'esecuzione degli esami specialistici di diagnostica oftalmologica. È un ramo dell'oftalmologia che si occupa quindi di valutare gli aspetti motori, sensoriali e percettivi propri dell'apparato visivo e di mettere in atto l'insieme delle tecniche mirate alla riabilitazione visiva.


E come è iniziato il tuo percorso? 

Sicuramente un po’ per casualità! Quando sono uscita dal liceo avevo tutt’altri piani: volevo diventare una veterinaria. Provai i test a Padova, ma non li passai; quindi riversai il tutto sul mio piano B, ovvero diventare fisioterapista.
Il test di professioni sanitarie però non ti permette di scegliere un’unica professione sanitaria: ti vincola a sceglierne tre, necessariamente. 
Una volta trovata davanti a questo questionario non avevo idea di quale altra facoltà inserire. Sapevo che non avrei voluto fare l’infermiera, non faceva per me, quindi decisi di inserire “ortottica” come seconda scelta: ovviamente senza avere la minima idea di cosa fosse.

Non entrai nei settanta posti che Torvergata aveva disponibili per fisioterapia ma rientrai, appunto, in quelli per ortottica.
Il primo giorno di università scoprii di cosa si trattava e fortunatamente ne rimasi colpita.

Di lì si è distribuito un percorso triennale, come per tutte le professioni sanitarie, che alternava lezioni frontali a sempre un numero maggiore di ore di tirocinio.
Completato il percorso, come accade per infermieri, fisioterapisti, logopedisti e via dicendo, non esistono vere e proprie specializzazioni, perché fondamentalmente il percorso triennale di per se è sufficiente alla formazione della figura professionale; la magistrale non aggiunge nulla al percorso formativo della figura in questione, ma amplia la visione della stessa, formandola per ruoli più amministrativi-manageriali. 

Io personalmente ho preferito un master, che ad oggi mi ha dato la possibilità di crescere lavorativamente parlando, facendomi diventare una ferrista: una figura che affianca il chirurgo in sala operatoria; ovviamente solo per operazioni che riguardano l’apparato oculo-visivo.


E lavorativamente parlando che strade ti ha aperto questo percorso? 

Gli ambiti applicativi di questa materia sono vari e disparati: dalla riabilitazione, la valutazione e prevenzione di alcune particolari patologie, fino alla parte chirurgica in sala operatoria.
L’obiettivo riabilitativo è proprio quello di aumentare efficacemente l’uso della visione residua in pazienti ipovedenti, con l’aiuto di ausili ottici o elettronici. 

Fondamentalmente le strade percorribili sono diverse: puoi iniziare a lavorare presso ospedali pubblici, ma ovviamente devi attendere un concorso; puoi lavorare in clinica privata e molto spesso ti propongono contratti di collaborazione; così come puoi essere a tutti gli effetti un libero professionista, avere la tua partita IVA e il tuo studio e lavorare in maniera autonoma. 

Io ho iniziato a lavorare un anno prima di laurearmi. Sono stata assunta in uno studio e dal secondo anno di università fino ad agosto 2021 ho lavorato lì. Nella fase iniziale non ero propriamente retribuita, mi veniva dato solo un rimborso spese. Dopo la laurea ovviamente la mia situazione finanziaria è cambiata. Ad agosto 2021 sono stata licenziata, di lì mi sono mossa al fine di ritrovare una stabilità e una situazione lavorativa che mi appagasse, sotto tutti i punti di vista. Ho preso un master per essere abilitata all’ingresso in sala operatoria, quindi come dicevamo sono diventata una ferrista: questo sicuramente ha notevolmente ampliato il range delle mie  possibilità lavorative. 


Ad oggi di cosa ti occupi? 

Ad oggi sono una collaboratrice esterna presso una struttura ospedaliera. 

Fondamentalmente lavoro dal lunedì al giovedì, con qualche rara eccezione per quanto riguarda il weekend. 

Dal lunedì al mercoledì sono in sala operatoria, gli orari sono variabili, perché come si sa, la sala operatoria può avere mille incognite: un’operazione di un’ora può tranquillamente diventare di 4 ore. Il giovedì invece sono in ambulatorio, quindi mi occupo di tutt’altro. 

Fondamentalmente ho dovuto fare delle scelte di vita pratica che comunque mi portano ad affrontare quasi cento chilometri di viaggio al giorno tra andata e ritorno; la mattina mi sveglio alle 4,30 per essere a lavoro alle 7,15. Preferisco arrivare quarantacinque minuti prima dell’orario perché è il mio modo di organizzare il lavoro. Mi piace avvantaggiarmi e sapere di aver fatto tutto quello che dovevo fare a fine giornata, così da non dovermi portare il lavoro a casa. Ma è una mia scelta, mi rendo conto che ci sono colleghi che arrivano all’orario in cui devono attaccare e non per questo reputo il mio lavoro migliore del loro. Sono attitudini lavorative, io preferisco fare in questo modo. 


Quali sono pro e contro del tuo lavoro? 

Sicuramente un grande pro è l’estrema variabilità di campi nei quali posso operare. La monotonia è una cosa che mi ucciderebbe. Invece con questo lavoro un giorno sono in sala operatoria, un altro giorno sono in ambulatorio a fare tutt’altro. 

Così come è sicuramente un pro la meravigliosa esperienza di due settimane in Africa che mi è stata proposta lo scorso anno. 

Il più grande contro è l’incompatibilità con una mia eventuale vita privata futura. Da una parte questo lavoro se fatto a livello pubblico ti dà tutte le certezze di cui necessiti: maternità, ferie, malattie; ma allo stesso tempo non ritengo la retribuzione offerta congrua alle responsabilità e allo studio che c’è dietro.

Dall’altro lato, però, la mia attuale situazione di collaborazione esterna con la paga corrisposta a prestazione, non può essere comunque “per tutta la vita” in quanto non ti vede riconosciute malattia, ferie e via dicendo: insomma, se sono malata o voglio farmi un viaggio di qualche giorno, non vengo pagata.


Vorrei soffermarmi sull’esperienza di cui prima parlavi, ti va di raccontarcela? 

Un medico oculista con il quale collaboro mi ha proposto di affiancarlo in questo sopralluogo in Madagascar, presso questo centro gestito dalla chiesa, dove si sottopongo gli abitanti dei villaggi a controlli che per noi sono di routine.

Se devo dirti la verità sono rimasta colpita più dal loro modo di affrontare i problemi e la vita che non dalla precaria, se non assente, situazione sanitaria.

Da un punto di vista puramente umano mi sono accorta di quanto i nostri problemi siano futili e di come li affrontiamo in maniera totalmente sproporzionata; loro vivono situazioni al limite del sopportabile e hanno un atteggiamento totalmente diverso. L’ho trovato ispirante, in un certo senso mi ha aiutata a migliorarmi. 

Da un punto di vista lavorativo, è stata un esperienza forte. Gli strumenti per la valutazione oculistica sono molto costosi e lì ci siamo trovati a dover utilizzare mezzi un po’ antichi, ma comunque efficaci. 

Sicuramente è un’esperienza che cercherò di rifare, l’ho trovata estremamente formativa.


Quali sono tre caratteristiche di te stessa che ti sono utili nel tuo lavoro? 

Allora la prima sicuramente è la freddezza: saper mantenere i nervi saldi, essere in grado di gestire situazioni dove gli  altri entrano nel panico, sicuramente è una cosa che mi avvantaggia. 

La seconda il mio senso del dovere: voglio fare il mio lavoro al meglio, non per essere la migliore, ma per essere sicura di aver fatto un buon lavoro. 

Ed infine come terza ti direi la mia capacità di adattarmi e sapermi relazionare con tutti. Questo è un lavoro di equipe, saper lavorare con altre persone è essenziale. 


Qual è un consiglio che daresti a qualcuno che vuole intraprendere questo percorso? 

Impara il più possibile, diventa bravo, indispensabile: così non sarai costretto a sottostare al “prezzo” che decidono gli altri. Più sei bravo e preparato, più puoi metterti in gioco è puoi decidere tu il tuo prezzo. 

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