Neuroscienze - Domenico, tra DiariClinici e ricerca

 



Oggi i nostri megafoni sono approdati da Domenico Mancini, ventisettenne di Napoli. Tra i suoi tanti titoli vediamo quelli di: neuroscienziato, ricercatore presso l’istituto Santa Lucia di Roma e creatore e curatore della pagina Instagram di divulgazione psicologica/scientifica @DiariClinici.Siamo lieti di aver avuto l’opportunità di confrontarci con un ragazzo tanto capace e intraprendente. 
Il suo progetto, in affinità un po’ con quella che è la linea di hIr_magazine, si premura di divulgare un messaggio importante: nessuno di noi è solo. Anche in quelle situazioni nelle quali ci sentiamo persi, non ci comprendiamo, non sappiamo dove stiamo andando o cosa ci sta succedendo: non siamo soli. Ci sarà sempre qualcuno con cui condividere il mondo che ci portiamo dentro. 
Ma lasciamo la parola al nostro Domenico.

Raccontaci di @DiariClinici, di cosa si tratta? Come nasce questo progetto? 

All’effettivo nasce dall’idea di combattere la falsa ed errata informazione che molti guru dei social lanciano tra un post e l’altro. Molto spesso girando su Instagram è facile imbattersi in post come: “i cinque migliori modi per allontanare l’ansia” oppure “come migliorare la qualità del tuo sonno in poche semplici mosse”.

No, è fuorviante: la psicologia non è questo.

Da questo è nato un mio bisogno di farmi sentire, di mostrare come attraverso la condivisione di esperienze, dati scientifici, ricerche e riflessioni, si possa creare una comunità di persone che non risolvono il loro problema con un click, ma si aggregano e si rispecchiano nell’esperienza di qualcun altro e in un certo senso si scoprono e capiscono. 

È un progetto nel quale ho deciso di dedicarmi anima e corpo da solo, non ho collaboratori; curo le grafiche, i social, i post! All’inizio, sopratutto per la parte grafica, ho dovuto cimentarmi nello sperimentare programmi come Canva, che ad oggi uso agevolmente. 

Non mi aspettavo che questo progetto potesse attirare così positivamente l’attenzione. 


E qual è la tua formazione?

Io ho preso la triennale in psicologia a Caserta; dopodiché non sapevo bene cosa volevo fare, l’università ti forma molto a livello teorico, ma nel pratico non ero sicuro di quale fosse la mia propensione. 

Ho deciso di iscrivermi al corso di neuroscienze della Sapienza di Roma, scelta che con il senno del poi si è rivelata la migliore che potessi prendere.

La cosa non è stata semplicissima il primo anno: per problemi familiari non mi sono potuto trasferire a Roma, quindi facevo il pendolare tutti i giorni da Napoli; treno alle 4,30 per essere alle 8,30 pronto ad iniziare la giornata. 

L’università spingeva sin dal primo anno ad iniziare un progetto di tesi, ma io ero sempre nella situazione di non saper bene cosa fare quindi ho deciso di sporcarmi le mani. Mi sono presentato all’istituto Santa Lucia e per una congiunzione astrale di eventi loro avevano bisogno di una mano; con il tutor che ho avuto abbiamo stipulato una collaborazione che mi ha permesso di lavorare al mio progetto di tesi.Gli sono sempre grato per l’opportunità che mi ha dato.

Comunque grazie a lui, dopo essermi laureato nel 2020 ed aver terminato il mio anno di tirocinio post laurea obbligatorio, nel 2021 ho firmato una borsa di ricerca presso l’istituto Santa Lucia, dove da oramai cinque anni lavoro in ambito di ricerca neuroscientifica.

Per completare il quadro, sto frequentando il primo anno della scuola di psicoterapia.


E come funziona il tuo lavoro? 

Fondamentalmente si struttura in una giornata lavorativa normale: attacco alle 8:30 e stacco alle 17:30.

Di norma nelle ore mattutine mi occupo di valutazione: somministrazione di test per la valutazione della memoria, dell’attenzione, del linguaggio e via dicendo, con conseguenti fasi di colloquio per completare la valutazione in sé. Il pomeriggio, invece, mi occupo di riabilitazione: un vero e proprio percorso riabilitativo con pazienti con patologie neurologiche, come ed esempio persone affetta da demenza.

La parte che preferisco è sicuramente quella riabilitativa: mi dà la possibilità di creare un vero percorso con il paziente, di porre obiettivi e di vedere come il lavoro che si fa insieme porti poi dei veri risultati. Lo trovo soddisfacente.


A proposito di terapia e percorsi, cosa ne pensi di queste nuove piattaforme per la terapia online? 

Ho pareri divergenti sull’argomento. Il covid ci ha insegnato una grande cosa: non abbiamo più confini fisici.

E sicuramente questo ha fatto si che tanta gente si avvicinasse alla terapia online, perché lo schermo aiuta a sentirsi più sicuri, perché abbatte la pigrizia di doversi vestire e andare in seduta. Allo stesso tempo, sottolineando che ha sicuramente rivoluzionato il mondo della terapia, questa cosa potrebbe essere poco funzionale per pazienti affetti da patologie particolari come la depressione, che invece dovrebbero essere incentivati ad uscire di casa e avere interazioni umani reali e non dietro ad uno schermo.

Credo che sicuramente abbia avuto un impatto positivo sulla comunità e sul modo di vedere e vivere la terapia, ma allo stesso tempo bisogna contestualizzarla.


E quali sono pro e contro di questo lavoro? 

Sicuramente uno dei pro è l’estrema varietà di casi che in questi anni mi si sono presentati davanti. Mi ha dato la possibilità di approfondire e conoscere casi clinici che in altre circostanze probabilmente non avrei visto.

L’altro grande pro è che essendo un istituto atto a questo scopo, non sono io a dover trovare i pazienti, ma sono i pazienti che vengono da me, in un certo senso. 

Un contro è che la ricerca in Italia è eccessivamente precaria, poco sovvenzionata e di conseguenza poco proficua.


Dove ti vedi tra 10 anni? 

È una bella domanda, perché sicuramente ci ho messo un po’ di tempo, ma ora so cosa voglio fare da grande.

Mi vedo come psicoterapeuta, non so dirti se con un mio studio o magari in collaborazione e con altri colleghi. 

Ma mi vedo così. E sono soddisfatto.


Quali sono tre caratteristiche di te che credi ti siano utili nel tuo lavoro? 

Allora la prima è che so ascoltarmi. Penso che sia una cosa importante sapersi ascoltare, sopratutto nel mio lavoro. Quando ascolto un paziente, prima di fare una valutazione penso sempre se questa è basata su una mia esperienza che può inficiare sul mio giudizio o se sono oggettivo e sto valutando solo su quello che mi viene riportato.

La seconda è che, come si dice a Napoli, “mi hanno insegnato a campare”: ho dovuto imparare ad interfacciarmi con tante realtà diverse, tante persone diverse e questo sicuramente mi ha insegnato a non giudicare, ad essere un’osservatore imparziale. 

L’ultima credo sia la più importante: io ho lo spirito del sud. Una cosa difficile da spiegare, ma abbiamo quel calore dentro, quella voglia di fare, che in qualsiasi caso, ci aiuta sempre a tenere duro. 


Qual è un consiglio che ti senti di dare a che vuole intraprendere un percorso come il tuo? 

Di non fermarsi solo a quello che offre l’università, ma di fare esperienze pratiche, di sporcarsi le mani.

Questo è il modo migliore per capire qual è la strada che fa più per voi. 

Non abbiate paure di lanciarvi. 

Commenti

  1. Sapersi ascoltare, a volte richiede coraggio di vedere qualcosa che fa male, che si ha paura di affrontare. Però, può darti la libertà vera, quella che ti fa vedere te stesso come una persona unica e, che può sbagliare, può cadere ma , anche rialzarsi.

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