Storie di vita all'estero - Londra e la (ri)scoperta di me stesso


Oggi i microfoni di hIr approdano a Londra, Regno Unito. A raccontarci la sua storia è il giovane Marco Giandomenico; ventiquattro anni, nato e cresciuto in un piccolo paese della provincia di Taranto, approdato nella grande metropoli londinese solo due anni e mezzo fa, dopo un lungo processo di introspezione e crescita personale. Supervisor in una pizzeria, gestore di un piccolo bar e modello freelance, ci racconta la sua storia, ispirandoci non solo ad essere sempre la versione migliore di noi stessi, ma a non arrenderci davanti alle difficoltà. 

Allora, Marco, raccontaci dov’è iniziato il tuo viaggio? 
Delineare un inizio non è facile; ho sempre saputo di voler andare via dal mio piccolo paese, Castellaneta (TA), e di voler di vivere in una grande città come Londra, sin da bambino. Ricordo quando ebbi la possibilità di decorare la mia stanza, le prime cose che comprai furono proprio accessori londinesi: dalla trapunta del mio letto all’orologio appeso sulla parete. Ma tra il sognare arredando la propria cameretta e il prendere la valigia e andare via da tutti e tutto c’è una bella differenza. 
Per rispondere alla tua domanda, posso dire che il mio viaggio è partito quando ho  finito l’ultimo anno di scuola superiore: volevo allontanarmi da casa, avevo la spinta per andare via, ma non così lontano; quindi mi sono iscritto all’università di Bari, non essendoci però un corso idoneo a quello che avrei voluto fare, mi sono dovuto adattare e alla fine mi sono immatricolato nella facoltà di “scienze della comunicazione”. 

Come mai dici “mi sono dovuto adattare”? Cosa avresti volto fare?
Il mio grande sogno è sempre stato quello di lavorare nel mondo del fashion; all’inizio non avevo ben chiaro in quale ambito, ma sapevo che quello era il mio ambiente. Vestiti, accessori, sfilate e tutto ciò che circonda quel mondo mi ha sempre fatto brillare gli occhi. Mi sono dovuto adattare e cercare un percorso alternativo perché vicino casa non avevo poli universitari idonei a farmi specializzare in quello che avrei voluto e dall’altra parte io sentivo di non avere la forza per allontanarmi così tanto, lasciando la mia famiglia e i miei affetti più cari. Bari mi era, all’epoca, sembrata la perfetta via di mezzo tra quello che volevo provare a diventare e quello che invece ero sempre stato. Solo che, come tutte le scarpe un po’ strette, puoi camminarci, ma solo fin quando sei disposto a sopportare il dolore che ti procurano. Quindi dopo circa un annetto, ho deciso che non era per me, che quella vita non era la mia e che avrei dovuto fare qualcosina di più per me stesso.  Così ho deciso di prendere il coraggio a due mani e mi sono trasferito a Milano dove mi sono iscritto al NABA (Nuova accademia di belle arti) per iniziare un corso professionalizzante di circa un anno per diventare Visual. Terminato il corso avrei voluto proseguire per conseguire i livelli successi, ma arrivata la pandemia sono stato costretto ad andare via da Milano perché non lavorando più (a causa della pandemia) e non potendomi più mantenere, ovviamente l’unica scelta era quella di spostarmi. 
Di qui inizia un viaggio itinerante che mi ha portato ad arrivare prima da mia sorella a Ferrara e poi a tornare in Puglia, nella cameretta dove sono cresciuto. 


E come ti ha fatto sentire questo? 
Se devo essere sincero, questi mesi di stallo mi hanno dato la possibilità di riflettere e informarmi, mi hanno aiutato a prepararmi mentalmente al grande salto, quello nel vuoto, quello lontano da casa, in un posto dove non ero mai stato se non con la fantasia. Così raccolte le informazioni di cui necessitavo e inviate le domande per le diverse fasi burocratiche che precedono il poter lavorare in una città come Londra, settembre 2020 era il momento perfetto per procedere al mio trasferimento, data l’imminente uscita del Regno Unito dall’Europa. 

Di cosa hai avuto bisogno per trasferirti? 
Diciamo che il documento fondamentale da richiedere, al fine di lavorare, avere l’assistenza sanitaria e poter aprire un conto in banca, è il NIN; questo è un numero identificativo, che appartiene solo al richiedente e che al suo interno racchiude tutte le attività svolte dal soggetto all’interno del paese; che è il modo sicuro che ha il Regno Unito per identificarti e sapere chi sei, cosa fai e quante tasse paghi. La mia grossa sorpresa è stata accorgermi di come la burocrazia lì funzionasse in modo totalmente diverso; fatta la richiesta, gli operatori mi avevano dato una tempistica di tre/quattro settimane, che è stata pienamente rispettata e avuto il documento mi sono potuto adoperare per cercare lavoro. 

E’ stato facile trovare lavoro? 
Pe niente! In questo partivo svantaggiato io, mi ero creato l’illusione che sarebbe stata la cosa più facile, invece è stato un incubo. Ero sicuramente svantaggiato dal non parlare inglese, perché quando sono arrivato ne parlavo davvero poco, ma in qualsiasi caso era un periodo nero anche per loro, visto che erano appena usciti dalla prima ondata di Covid. Sono riuscito a trovarmi il primo lavoretto grazie ad un amico che mi raccomandò in un locale, totalmente fuori mano, a due ore di viaggio da casa mia, che accettai per potermi mantenere. 
Ho fatto in questo posto il cameriere per qualche mese, prima che arrivasse la seconda ondata di Covid e lì ho subito visto la differenza con l’Italia. 
Avendo un contratto e avendo già lavorato un paio di mesi sono riuscito ad accedere ad un piano di sovvenzione governativa che mi garantiva l’80% del mio stipendio, che all’epoca era di 1600 sterline. Questo mi ha dato la possibilità di non andare via da Londra, ma soprattutto mi ha dato l’occasione di vivere una Londra diversa, vuota, senza turisti, senza locali affollati, quasi deserta. 

E come ti è sembrato questo inizio così strano? 
Mi è servito a capire bene la città, ma soprattutto a capire bene me stesso. Mi sono lanciato nel mondo della monda come modello freelance, una cosa che avevo iniziato a fare già quando vivevo a Milano, ma ovviamente in questa città ha avuto tutto un altro spessore. Sono stato contattato da fotografi, ho fatto shooting e questo mi ha dato non solo la possibilità di mettermi qualcosa da parte, ma anche di conoscere tanta gente nuova, di imparare meglio la lingua e di ambientarmi in un posto che era completamente diverso dal posto nel quale venivo. 
Qui mi sono capito, accettato e posso dire di essere esploso. 


Cosa intendi per esploso? 

Intendo dire che ho lasciato uscire il vero me, il vero Marco. Partendo dal modo di vestire, passando alla mia personalità; ho acquisito sicurezza, perché potendo contare su di me ho imparato quanto valgo e di lì è stato un crescendo. Ad oggi ti dico che grazie a quel periodo mi apprezzo, sono la persona che sono e non potrei essere più fiero di così. Questo mi ha permesso di arrivare alla fine della pandemia con una carica disumana, con la quale mi sono ripromesso di riprendermi la mia vita e i miei sogni e farli esplodere con me. 

E da cosa hai cominciato? 
Per prima cosa dal cambiare lavoro; ad oggi sono supervisor in una delle più importanti pizzerie della città: Berberè; di mattina gestisco un piccolo bar, dove lavoro da solo e ovviamente continuo a fare il modello. 
Il secondo punto è stato cambiare casa, cambiare zona; mi sono spostato da East London, zona centrale ma particolarmente malfamata, a Wimbledon che pur essendo una zona leggermente più periferica, resta tranquilla e famigliare. 
Ed in ultimo, non per importanza, finalmente mi sono sentito pronto per iscrivermi ad un’università, che inizierò questo febbraio. 

Come mai dici di sentirti pronto? 
Perché ora mi conosco, mi sono accettato e ho capito cosa voglio fare veramente; per l’ambiente, che qui a Londra mi ha stimolato in maniera diversa, anche perché sono riuscito a trovare la facoltà dei miei sogni: Fashion – media and promotion; ed infine anche per una questione economica, dato che qui se vuoi studiare e riesci ad accedere all’università che ti interessa è molto facile richiedere il famoso “prestito dello studente”: lo stato ti paga le tasse universitarie e tu ti impegni a restituire la cifra facendotela decurtare dalle tue future buste paghe. 
Per entrarci ho dovuto superare una serie di step: ho fatto un’application, ho dovuto presentare una lettera motivazionale e alla fine mi hanno preso. 

E l’Italia ti manca mai? 
Mi manca tanto la mia famiglia, i miei amici, e, se vogliamo essere banali, il cibo. Il cibo è una di quelle cose che mi manca da morire; in casa ho sempre qualcosa di italiano che conservo dal “pacco da giù” che mi spediscono i miei di tanto in tanto e io di mio, cerco di tornare in Italia con cadenza trimestrale. 

Come si relaziona questa nuova versione di te con la mentalità italiana? 
All’inizio con difficoltà, cerco sempre di non soffocarmi a causa della mentalità locale, soprattutto se parliamo di quella di un paesino piccolo come il mio. Non nego che la sensazione di essere guardato mentre cammino per il paese con un paio di tacchi è fastidiosa, soprattutto se commisurata all’antipodo che c’è qui, dove le persone ti fermano per strada per dirti quanto ti stanno bene o banalmente per farti un complimento. Ma per tornare alla tua domanda, cerco di essere il più attinente possibile al contesto nel quale mi trovo, perché non è forzando la mentalità altri che si otterranno dei risultati, si rischia di cadere nel tranello opposto. Sono io, sono sempre io, mi vesto come mi pare, mi trucco come mi pare, ma cerco di farlo ricordandomi il posto in cui mi trovo. 

Dacci un pro dell’Italia che Londra non ha:
Sicuramente un grande punto ha favore dell’Italia è il clima, si sta bene, in qualsiasi stagione; c’è il Sole e questo rende tutto più caldo, anche le persone. Un altro punto a favore dell’Italia è che non sei costretto a vivere sui mezzi, almeno per la mia direttissima esperienza. Qui a Londra vivi una vita sui mezzi, perché le distanze da coprire sono più lunghe, quindi ovviamente prima di poter fare uno spostamento devi calcolarlo e ragionarlo in base al tempo che ti ci vuole per arrivare dal posto A al posto B; e i mezzi non sono per niente economici, parliamo di abbonamenti di circa 300 sterline al mese, che sono tantissime, potrei forse definirle la più grossa fetta delle mie spese. 

Torneresti a vivere in Italia?  
Ora come ora no, ma prima o poi chi lo sa? Sicuramente il mio programma adesso è quello di restare qui altri tre anni, così da arrivare a cinque e poter richiedere la cittadinanza permanente, perché anche in futuro voglio che questa sia casa. Però un giorno l’idea di potermi riavvicinare alla mia famiglia non mi dispiacerebbe. Ora come ora significherebbe dover sacrificare troppo di me e sinceramente non sono disposto a farlo. Essere Queer è una cosa alla quale l’Italia non è abituata, questo non vuol dire che non si potrà mai abituare, ma semplicemente che in questo momento siamo “too much” sia io per lei, in un senso, che lei per me, in un altro. 

Quali pensi siano tre caratteristiche di te che ti sono state utili in questo viaggio? 
Penso che la prima tra tutte sia stata la “creatività”, banalmente mi ha dato il potere, non solo di ambientarmi alla perfezione, ma anche di inventarmi: lavoro, sistemazioni abitative, soluzioni per spostarmi e comunicare pur non conoscendo la lingua, ecc; la seconda direi la mia ambizione, non mi fermo davanti a nulla, ogni ostacolo va superato e non arginato; ed infine ti direi la “volontà”, intesa come forza, come moto per lottare e rimanere a galla, come spirito per prendere decisioni difficili e importanti. 

E che consiglio daresti a chi in questo momento volesse trasferirsi a Londra? 
Ora come ora non è facile, essendo usciti dall’Europa, ma non è una cosa impossibile! Anzi! Se vuoi, puoi, basta solo essere ORGANIZZATI; questo è il mio grande consiglio: prima di mettervi lo zaino in spalla e partire, fate ricerche, leggete di cosa avete bisogno, fate uno schema dei documenti, dei permessi da richiedere e poi, mettete tutto nello zaino e partite, verrà da se che le cose non potranno che andare bene. 






 

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