Illusionismo sul palco: quando la magia diventa realtà

 Dalla scuola di magia e stregoneria del Pigneto, Roma,  abbiamo avuto il piacere di parlare con Tiziano Grigioni. Mago, performer, teatrante, che alla giovane età di ventinove anni ha avuto la fortuna di calcare alcuni dei palchi più famosi del nostro paese. Impegnato attivamente, non solo, nella messa in scena di spettacoli a tutto tondo: tra magia, satira, comicità e attimi di riflessione; ma anche nella produzione scritta per terzi e nel riadattamento di testi di musical theatre dall’inglese all’italiano. 

Grazie alle parole di Tiziano scopriamo una diversa interpretazione della magia, del palco e di quello che serve per poterlo calcare, sfatando un po’ il mito del cilindro con il coniglio all’interno e portandoci in una dimensione fatta di sacrifici e anche tante gratificazioni. 

Partito più di dieci anni fa da un piccolo teatrino di Roma, arriva al Teatro Olimpico, dove dal 28 febbraio al 5 marzo, potremo gustarci un delizioso spettacolo nel quale Tiziano sarà guest star per Francesca Reggiani e noi di hIr, non vediamo l’ora di andare a fare il tifo per lui 


Parlaci un po’ di te, di cosa ti occupi? 

Non mi piace definirmi un mago, mi definirei più un performer, un teatrante. Mi piace partire da una base di originalità: il mio personaggio è costruito su me stesso, come si usa dire “tailor made”, fatto su misura, proprio perché negli anni ho imparato a portare sul palco una reale versione di me stesso, ovviamente esaltata alla n potenza, ma un vero Tiziano, senza maschere, con i suoi pregi e difetti. Quindi sono proprio io a scrivere i miei testi , così come le mie battute e la costruzione in generale del mio spettacolo, coadiuvato talvolta dal mio agente, che per me ricopre anche le vesti di autore. Non mi piace l’idea che il pubblico torni a casa chiedendosi solo: “Chissà come avrà fatto a far sparire quell’oggetto”, voglio lasciare qualcosa in più! Motivo per cui costruisco il tutto su una base reale, ad esempio non utilizzo oggetti che possano in qualche modo far pensare al concetto di “trucco”; il mio store di fiducia per molti oggetti di scena è il negozio di cinesi sotto casa mia, perché mi piace l’idea di poter far entrare il pubblico all’interno dello spettacolo, riproponendo oggetti che nel quotidiano tutti possiamo anche semplicemente avere in casa. Il mio stesso personaggio, si fonda su un’estetica che entra poi nettamente in contrasto con quello che faccio sul palco, perché lo scopo ultimo non è quello di mostrare abilità sorprendenti, anche perché non sono un tecnicista, ma è quello di catturare l’attenzione e regalare un minimo di quella che per me è magia. 

Non mi occupo solo di teatro in prima persona, cioè gli spettacoli non mi limito a preparali per me, perché penso che il teatro sia bello tutto a trecentosessanta gradi; motivo per il quale, in questo ambito ho tante attività collaterali, come ad esempio riadattare testi dall’inglese all’italiano per i Musical, mia seconda attività, oltre quella di teatrante. In questo, il mio manager, nonché grande amico, Davide Calabrese è stato un mentore, mi ha aiutato in questo percorso che è nato da una mia naturale propensione verso le lingue e ovviamente da un amore coltivato negli anni per il Musical. E oggi sono particolarmente occupato nell’allestimento di uno spettacolo con Francesca Reggiani, intitolato “Questioni di Prestigio”, dove avrò il piacere, dal 28 febbraio al 5 marzo, non soltanto di affiancare una grande artista, ma di calcare un palco, quello del Teatro Olimpico di Roma, che è stato la genesi del mio amore per questo lavoro: il posto il cui ho iniziato a pensare che, forse, un giorno, sarei diventato un mago anche io. 


Come è iniziato il tutto? 

Allora partiamo dal dire che in Italia per un pubblico generalista il mestiere del mago non esiste.

Per il pubblico la magia è solo il mago per le feste dei bambini, che è tutt’altra materia, che richiede applicazione e studio, ma non si può fare della magia solo quello. 

In tv, teatro e a livello mediatico, soprattutto quando ero ragazzino, di magia ne ho sempre vista poca; avevamo il mago Casanova che spiegava i trucchi, ma nulla di più. 

Il mio primo, vero approccio con la magia fu il 5 gennaio 2002 quando andai a vedere al cinema “Harry Potter e la pietra filosofale”; ho iniziato a leggere i libri, che sono diventati una mia grande fissazione e ad oggi sono una delle teste dietro “Portus”, che è il sito di informazione potteriana più letto d’Italia. 

Fondamentalmente io mi ci sono avvicinato quando è venuta a mancare mia madre, avevo otto anni e diciamo che ho soppresso il dolore del lutto nascondendomi dietro Harry Potter. A quel punto mi vennero regalati i primi attrezzi-giocattolo, visto che ad Hogwarts non potevo andarci, e di lì iniziai ad approcciarmi alla magia. All’inizio avevo un compagno di classe con il quale condividevo la stessa passione, siamo cresciuti utilizzando le nostre paghette per compare oggetti magici che ci sarebbero serviti per i nostri spettacolini; e proprio qui il mio iniziale pubblico erano: la famiglia, i compagni di scuola, comunque gente che vedevo tutti i giorni. 

Diciamo che questa cosa, essendo stato un ragazzino infelice e triste, mi dava la possibilità di essere sicuro di me stesso, perché facevo qualcosa che gli altri non sapevano fare. 

Mi dava quel quid in più, che per me era vitale, soprattutto dato il mio carattere dell’epoca che era particolarmente timido e introverso. 

Tra la prima e la seconda media su GXT, un canale di SKY, Francesco Scimemi, un grande mago comico, forse il più Grande Mago comico italiano, crea il primo reality show di magia in Italia, Magixter. In questo diversi maghi si sfidavano tra di loro montando uno spettacolo che poi era soggetto a voti di una giuria. E poi c’era “Supermagic”, uno spettacolo teatrale, che ogni anno ospita i migliori maghi del mondo. Per anni si è tenuto al teatro Olimpico e all’epoca regalavano delle bacchette magiche, con sopra stampato il sito web di un negozio di articoli per prestigiatori dove acquistare oggetti di scena e libri di testo. 


E quindi la tua formazione su cosa si è basata? 

Fondamentalmente sui libri, quando ho scoperto i famosi “libri di magia”, ho scoperto il mondo. Sono libri non troppo semplici da masticare, perché ti propongono la tecnica, ti insegnano la posizione delle mani, come muovere il mazzo di carte, ma fondamentalmente il “come” metterlo in pratica, quello devi imparalo da solo. Ed è lì che intervengono le tante ore di pratica, tantissime ore di pratica. Perché è una di quelle cose dove se leggi il libro come leggessi un romanzo, non concludi assolutamente nulla. Devi mettertici sopra, sperimentare e provare.
Studiare un libro di magia è un’attività sempre attiva, mai passiva, perché ti obbliga a metterti alla prova con te stesso. Per questo, forse, mi sono sempre piaciuti più dei video didattici o delle blande spiegazioni: per mia stessa natura sono spinto a nutrirmi di tutto ciò che stimoli il cervello e lo faccia uscire dal solito torpore.

Ed in parte anche il motivo per cui ho deciso di diventare un performer, perché volevo essere in grado di muovermi sul palco a tutto tondo, poter mettere in scena me stesso alla n potenza, con la sicurezza di chi sa cosa sta facendo. 

Ad oggi ti dico, sono contento della mia scelta, perché per me il personaggio è tutto: è interessante dare una dimensione spettacolistica a tutto quello che fai, perché qualsiasi posto può diventare uno spazio scenico. 


E quando hai iniziato a fare le tue prime esperienze? 

Al Club Magico, un vero e proprio circolo in cui i maghi di ogni categoria – dilettanti o professionisti – possono incontrarsi e confrontarsi. Il Club di Roma ha anche una scuola, e da qualche anno a questa parte sono diventato uno dei docenti.
Poi al Teatro Alba dove sono stato per circa cinque anni e all’epoca ne avevo 16! C’era questa compagnia (Gang of Magic) che organizzava laboratori di magia e poi spettacoli per questa platea di circa quaranta posti. Ed è lì che entrai in contatto per la prima volta con quello che oggi è il mio agente: Davide Calabrese, insieme a Fabio Vagnarelli (due quinti degli Oblivion, quelli de I Promessi Sposi in Dieci Minuti). 

Mi notò, non so per quale motivo, ma si segnò il mio nome e dì lì una serie di fortunati eventi: decido di iscrivermi a scuola di musical e senza farlo apposta, la mia insegnate era Alberta Izzo, la moglie di Davide. Lui aveva in mente questo spettacolo, trovò un ragazzo perfetto per il ruolo e mi propose di affiancarlo sul palco. Era il mio primo grande lavoro. Ricordo ancora un po' l’ansia. Però il ruolo me lo sono dovuto guadagnare: ho fatto una serie di provini, prima con Fabio, poi mi presentarono Paolo Scotti (produttore e distributore teatrale), piacqui anche a lui e allora fui ingaggiato e portato dentro la loro agenzia. 

Il bello del mio rapporto con Davide, negli ultimi sette/otto anni è stato proprio scindere il rapporto professionale da quello d’amicizia. 

Con lui ho imparato cosa vuol dire all’effettivo lavorare: facemmo una prova della prima in un piccolo teatro e stranamente andò tutto bene. Quando però andammo in scena a Milano, non so precisamente cosa sia successo, ma sul palco feci una serie di errori banali, che non avevo mai fatto prima, probabilmente dettati dall’ansia; il teatro era grande, l’evento importante e c’era tutta la gente di cui mi importava, questo sicuramente non mi ha giocato a favore. 

Però è stato costruttivo. Non bisogna privarsi della possibilità di sbagliare, perché è un ottimo modo per migliorare se stessi, rendersi idonei e conformi a ciò che si vuole fare. 


E dopo quell’evento come è cambiata la tua carriera? 

Sicuramente è stata un crescendo, ho scoperto tanto di me: partendo dalla preparazione, che sicuramente prima sottovalutavo, ma che ho scoperto essere essenziale al fine di una buona riuscita. 

Sulla stessa scia di “formazione” penso che un evento caratterizzante sia stata l’estate all’isola D’Elba: nove spettacoli a settimana per tre mesi in giro per diversi Hotel. Non ho idea di quante repliche ho portato in scena, ma ti assicuro che mi ha insegnato a lavorare, perché non solo ho imparato il peso del lavorare sotto stress, ma ho anche provato a mie spese l’esperienza di doversi dividere fra carriera e vita privata, che non è una cosa semplice. Ho chiuso diverse relazioni, proprio a causa della mia gestione del tempo, che comunque all’effettivo non c’era. La mia giornata tipo era suddivisa in: mi alzo, provo per il primo spettacolo, lo porto in scena, avevo giusto il tempo di lavarmi e cambiarmi che subito dovevo andare in un altro posto per farne un altro. Capisci bene che il tempo per vivere una relazione diventa poco e vissuto male. 

La grande lezione che mi sono portato a casa è proprio questa: ottimizzare il mio tempo, per tutto. Dalla preparazione che mi serve per essere pronto al palco, al ricordarmi che oltre alla carriera ho anche una vita privata. 


Ci hai parlato all’inizio di un progetto che ti vedrà partecipe a fine febbraio, ti va di dirci di più?

Da una parte sono molto carico, dall’altra parte sono abbastanza in ansia, perché lo spettacolo, come vi dicevo all’inizio è di Francesca Reggiani: grande attrice, una maestra del teatro italiano. È stata allieva di Gigi Proietti, lei è uno di quei personaggi che vedi in tv e non ti aspetteresti mai di avere il piacere e l’onore di lavorarci insieme. Quindi diciamo che la mia pressione si giustifica in questo modo. 

Porterà in scena questo spettacolo, che si intitola “Questioni di Prestigio”, prodotto da SaVa Produzioni Creative di Monica Savaresi.  Il filo conduttore è un po’ la magia in tutte le sue forme più varie: il mistero, l’illusione. Lei avrà i suoi monologhi, io farò un po’ da collante e un po’ da guest star; diciamo che tradurrò in magia quello che lei trasporrà con i suoi monologhi. Per adesso la prima e unica tappa è qui a Roma, che è una cosa che mi emoziona da morire, proprio perché non soltanto mi esibisco in uno dei teatri più importanti della mia città, ma perché è il posto in cui la mia magia ha avuto inizio e non potrei essere più emozionato di così. 


Tre caratteristiche di te che sono focali nel tuo campo?

La prima è la curiosità, sono una persona molto curiosa. Mi piace informarmi, aggiornarmi, accumulare cose nel mio bagaglio, che all’effettivo fa si che la mia crescita personale, sotto questo punto di vista, si rifletta anche sul me che porto in scena; Il mio focalizzarmi molto sul pensiero, che in maniera quasi gergale definirei “farmi un sacco di pippe mentali”! E paradossalmente mi aiuta anche questo, perché mi sprona a fare sempre meglio. E il non aver paura di sudare, perché in questo tipo di lavoro devi sudare tanto. 


Dove ti vedi tra dieci anni? 

Partiamo dal presupposto che spero di vedermi vivo, quello che mi auguro è di poter diventare, per qualcuno, un punto di riferimento. Un po’ come ha fatto Davide con me, al quale devo tanto, se non tutto. Penso che la mia idea di realizzazione sia auspicabile in una cosa del genere: aiutare qualcuno a formarsi, aiutarlo a crescere e permettergli di vivere un sogno, come è successo a me. 

Poi se vogliamo parlare di pure aspirazioni professionali, quest’anno sono stato molto vicino alla realizzazione di un grande sogno: sono arrivato alle selezioni finali per uno spettacolo prodotto dal “Cirque du Soleil”, che alla fine non ho passato, ma ho assaporato per un momento la felicità di essere entrato a contatto con una realtà che un giorno spero di poter realmente toccare con mano. 


E un consiglio che daresti a qualcuno che vuole intraprendere il tuo percorso? 

Non aver paura di osare, di essere diversi. La diversità è quello che ci rende unici, che ci rende belli. Non avere paura di fare sacrifici, perché anche in percorsi diversi da questo, non bisogna avere paura di rinunciare a cose che in quel momento ci sembrano indispensabili. Ed infine andate a teatro, andate a guardare spettacoli anche fuori dalle vostre corde, perché per formarvi bene, non basta solo lo studio pratico e teorico, dovete guadare, perdervi e ammirare la bellezza di quest’arte. 

Commenti