How to become - Doppiatrice

 


Ci addentriamo oggi in un ambito molto particolare del mondo dello spettacolo: quello del doppiaggio. 
Lo facciamo con Alessandra Sani, originaria di Empoli ma ormai a Roma da diciotto anni, attrice teatrale, doppiatrice e adattatrice dialogista.
Ci racconta di un percorso frastagliato di esperienze: dalla gavetta fatta negli studi per toccare con mano il mestiere, i lavori nella ristorazione e anche le ripetizioni di greco e latino. Una personalità dalle mille sfaccettature che alla fine le hanno permesso di fare del suo sogno un professione.
Dalle soddisfazioni ed il mondo affascinante che lo circonda, fino ai periodi di incertezze, il costante mettersi in discussione, l’importanza della perseveranza e del darsi sempre da fare; Alessandra condivide con noi il suo percorso ed i mille consigli per chi vuole intraprenderlo: la regola numero uno è non perdere mai l’entusiasmo!

Raccontaci un po’ di te, la tua storia
Dopo essermi laureata a Firenze in storia del teatro, mi sono trovata nel classico momento del ‘e ora che faccio?’, tipico dei vent’anni. 
Davanti avevo alcune strade, tra cui proseguire gli studi universitari o buttarmi nel campo dell’insegnamento. 
La terza opzione, ovviamente, era quella di perseguire la mia passione: la recitazione. Volevo fare teatro, avere esperienze nel cinema, migliorare, approfondire. Così mi sono trasferita a Roma, ho fatto questo salto nel buio un po’ da incosciente e un po’ da sognatrice. 
Quando sono arrivata non conoscevo nessuno nell’ambiente e la mia priorità era farmi amicizie, creare contatti. Così mi sono iscritta all’accademia Ribalte di Enzo Garinei, principalmente per colmare alcune lacune che sentivo di avere a livello recitativo, di dizione e di interpretazione: questo percorso si è rivelato essere una bella palestra. Ho passato un anno intero sul palcoscenico dalla mattina alla sera, ma sopratutto ho imparato l’importanza di mettersi in gioco e di crearsi più contatti possibili, di approfondire la conoscenza del proprio ambiente. 
Proprio durante quest’anno di scuola ho conosciuto Francesca Draghetti, che in ambito accademico ci insegnava teatro comico, la quale mi ha introdotta per la prima volta al doppiaggio, che non avevo mai considerato. 
Ci ha presentato questo mondo, e dopo avercene illustrato le caratteristiche ci ha invitati ad assistere ad alcuni turni lì dove lavorava da direttrice di doppiaggio: io ed un altro ragazzo siamo andati, e assistendo tutti i giorni abbiamo avuto la possibilità di iniziare a fare delle piccole cose in prima persona. 
Anche qui ho visto l’importanza del semplice esserci, farsi vedere: mi hanno proposto un lavoro da segretaria, con un classico orario da impiegata di 8 ore al giorno, in cui davo i turni agli attori, li chiamavo e così via. Inizialmente ho preso questo lavoro per questioni economiche, avevo la necessità di qualche entrata per pagarmi l’affitto in una città come Roma, ma quest’esperienza mi ripagava sopratutto in altro modo: staccavo alle cinque di pomeriggio e avevo così la possibilità di assistere all’ultimo turno di doppiaggio della giornata. È così che ho conosciuto tanti direttori, assistenti, colleghi: ero nell’ambiente. 
Ripensandoci oggi mi accorgo come ogni esperienza alla fine si rivela fondamentale; quella nello specifico non solo mi ha offerto tanti contatti ma mi ha anche dato possibilità di conoscere il dietro le quinte: ora che sono dall’altra parte, so come rapportarmi con chi lavora in ufficio e con chi gestisce quella parte di lavoro. 
Nello stesso periodo, con alcuni colleghi della scuola di recitazione mettemmo su due nostri spettacoli: Terapia di gruppo nel 2006 e Giorno di saldi nel 2007. Dal punto di vista teatrale, quella è stata la prima esperienza che ho avuto da vera e propria imprenditrice di uno spettacolo: abbiamo dovuto trovare finanziatori, un’associazione culturale che portasse un po’ di pubblico, ci siamo assunti un rischio d’impresa. 
È stata un’esperienza bellissima. 
Poi dal 2008 ho smesso di fare la segretaria, e ho deciso di dedicarmi pienamente al doppiaggio come attrice. 
Dopo tanto tempo a guardare gli altri farlo, ad osservare e cercare di capire il più possibile, sono andata avanti: oggi posso dire di vivere di questo lavoro. 

Adesso effettivamente di cosa ti occupi?
Ad oggi mi destreggio tra doppiaggio, adattamento di dialoghi e teatro; ma resto aperta a tutto quello che mi si presenta: ho capito che è necessario frequentare l’ambiente, allargare il giro, non chiudersi mai ed uscire dalla zona di comfort. Evolversi. 
Partendo dal teatro, quando decisi di dedicarmi principalmente al doppiaggio fui costretta a trascurarlo un po’: il doppiaggio mi piaceva molto, mi permetteva di guadagnare meglio e pagarmi l’affitto. Poi nel tempo ho potuto riprendere questa mia grande passione, e ad oggi me ne occupo non solo come attrice: ho fatto esperienze come regista, proprio in questo periodo sto lavorando come assistente alla regia di uno spettacolo. Insomma, dopo esser stata tanto sul palco mi piace anche stare dietro le quinte e muovere i fili. 
Un altro ambito di recitazione in cui mi sono addentrata è stato quello dei lungometraggi. Tra le esperienze più significative in questo settore troviamo la mia partecipazione ad “Et in terra pax”, opera prima di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini; e la realizzazione di un cortometraggio horror con Marta Gervasutti. Sono state due esperienze fondamentali queste con la macchina da presa, ci tengo a menzionarle. 
Per quanto riguarda la scrittura dei dialoghi, è una cosa nella quale mi sono specializzata negli anni: ho migliorato il mio inglese, mi sono messa inizialmente a tradurre e poi ad adattare i dialoghi. L’adattamento del doppiaggio è un bellissimo mestiere, ti permette di approfondire argomenti ed aspetti culturali molto vari. Ci sono corsi per imparare a farlo ma la maggior parte viene dall’esperienza; principalmente lavorando per chi già lo fa. È così che ho iniziato io.
Ovviamente bisogna stare attenti: ci sono cose magari che in altre lingue e culture hanno senso, mentre per noi sono sconosciute. Certo le nuove generazioni hanno molto più accesso a riferimenti provenienti da altri paesi, proprio per questo si tende sempre di più a lasciare alcune cose in originale: una traduzione non restituirebbe il giusto contenuto. 
Infine ovviamente c’è il doppiaggio.



Parlaci un po’ di questo nello specifico: come funziona il mondo del doppiaggio? Come ci si entra?

Allora, partendo dal percorso migliore per accedere a questo settore, direi che la prima cosa fondamentale è avere una formazione da attore. 
Non si può doppiare senza aver imparato a recitare, interpretare, esprimersi! 
Senza una formazione di questo genere alle spalle, va a perdere proprio l’interpretazione: serve in tutto, anche nel documentario; devi imparare a coinvolgere lo spettatore. Con alle spalle il solo studio del doppiaggio finisce per mancare lo spessore, il background. 
La cosa migliore, ovviamente, è studiare in una scuola di recitazione che abbia anche dei corsi di dizione per togliere i vari difetti di pronuncia, regionalismi e via dicendo.
Quando sono entrata io in questo mondo, era possibile accedere in sala di doppiaggio liberamente: entrare, chiedere il permesso al direttore ed assistere ai turni, guardare come funzionavano le cose. Ti insegna a destreggiarti con l’ambiente, a vedere il funzionamento degli strumenti, a capire nella pratica come si svolge un turno di doppiaggio. 
Oggi, con l’avvento delle grandi piattaforme e quindi dei grandi committenti, è sempre più difficile: per questioni di privacy spesso non è più permesso entrare a guardare i doppiaggi veri e propri. 
Questo complica ovviamente l’ingresso nell’ambiente: adesso è necessario chiedere un provino ai direttori di doppiaggio, presentare il proprio dubreel per mostrare le proprie capacità, farsi conoscere. 
Per ovviare a questa impossibilità, è diventato molto più importante il ruolo dei corsi di doppiaggio veri e propri, che servono proprio per fare pratica. Io personalmente ho seguito per qualche mese i corsi di Giorgio Lopez, in cui principalmente provavamo a doppiare: avevamo tutto l’occorrente e facevamo tantissimo allenamento, imparando tutte le tecniche dall’impostazione della voce (difficile per chi arriva dal teatro ed è abituato ad urlare affinché senta anche l’ultima fila!), fino alle tecniche per incollarsi all’attore. 
Detto questo, sicuramente il mondo del doppiaggio per quanto bellissimo non è sempre un ambiente facile. 
Ci sono tante famiglie storiche, tanti figli d’arte, tanti rapporti basati su conoscenze e quando arrivi tu, che non sei nessuno e non conosci nessuno, devi costantemente dimostrare che vali. È stancante. 
Inizialmente, il modo per entrare è quello di metterti lì come una goccia cinese: ci provi, ci provi, ci provi. Il mondo del doppiaggio è un grande organismo, che ti assaggia lentamente e poi inizia ad inglobarti, piano piano, con i suoi tempi. Ci vuole pazienza e costanza. Se vuoi arrivare subito non è il tuo settore, e molti mollano per questo motivo. 
Questo non è sbagliato, è bene avere la lucidità di dire “non è la mia strada”; ma se i risultati iniziano ad arrivare e sei motivato a riuscirci non puoi lasciare che un periodo di down, un periodo con poco lavoro e tante incertezze, ti blocchi.

Come doppiatrice di cosa ti occupi? Ci sono dei lavori che ti sono stati particolarmente a cuore?
Doppio un po’ di tutto, dai documentari alle serie tv, passando per film, cartoni animati e via dicendo. 
Generalmente è il direttore di doppiaggio a contattarti perché ti conosce e ti associa a quella voce, quando entri in sala non sai nulla di cosa stai per fare: ti presentano il tuo personaggio, ti cali nei suoi panni e capisci come ha lavorato l’attore sul set. 
Nel caso di film o serie tv più importanti, invece, il direttore di doppiaggio va a richiedere dei provini, vengono sentite un po’ di voci ed è il cliente a scegliere. 
Per quanto riguarda i lavori che mi sono stati particolarmente a cuore, certo! Sopratutto in telenovela e serie tv lunghe, in cui segui davvero tutte le vicende di un personaggio, ti appassioni alla trama e ti affezioni al soggetto che interpreti: quando muore, va via o finisce la serie ci rimani sempre un po’ male. 
Tra i ruoli a cui mi sono affezionata di più c’è stato quello nella serie Normal people, in cui facevo l’amica della protagonista.
Però quello che mi è rimasto più a cuore, uno dei personaggi che mi è piaciuto di più interpretare, è stato quello in Las Estrellas: si trattava di una telenovela molto lunga e che ho trovato molto inclusiva. Il personaggio che dovevo interpretare era una ragazza innamorata di un’altra ragazza, e mi affezionai tanto a lei; trovai molto interessante calarmi in un quel ruolo. Quando è finita sono stata proprio male!


3 caratteristiche di te che ti sono state utili per arrivare qui?
Per prima l’umiltà: nei confronti di chi sa più di me, di un ambiente che non conosco, di chi ha qualcosa da insegnare. Non solo verso le persone del mestiere, un po’ verso tutti. È fondamentale per imparare. 
Poi direi la curiosità: mi caratterizza da sempre tantissimo e mi spinge a voler sempre sapere di più, esplorare, conoscere le persone. Mi porta a non dire di no a prescindere, a cogliere tutte le occasioni. 
Per ultimo la determinazione: non mollare la spugna. Ho visto tante persone iniziare con me il loro percorso e poi mollare perché non ce la facevano più a prendere porte in faccia. Penso che se credi in te stesso e credi in quello che stai facendo, devi avere determinazione e non farti buttar giù da qualche no. 
A questo proposito proprio pochi giorni fa mi sono presa una bella soddisfazione: ho fatto un turno di doppiaggio con una direttrice a cui chiesi un provino più di 10 anni fa, vedendomelo rifiutare categoricamente. Certo, ci è voluto tempo, ma per me è stata una bella rivincita!

Che consigli di senti di dare a chi vuole intraprendere questo percorso?
Seguite la vostra passione, qualunque sia. Se segui quello che ti piace, in qualche modo arrivi: a farlo e a farlo bene. Segui il sentiero dorato, come si dice nel mago di Oz. 
Credeteci sempre, sopratutto nei momenti in cui siete scoraggiati. 
E sopratutto condividete, confrontatevi, cercate il supporto di amici e colleghi: rimanendo nel proprio a rimuginare non scoprirete di come le vostre paure sono uguali a quelle degli altri. Quando parli con gli altri scopri che tutti hanno le stesse difficoltà, e a quel punto ci si può dare man forte. 
E ovviamente chiedere consiglio a chi è più dentro alla questione. Non c’è modo migliore di capire come arrivare da qualche parte se non andare da chi ci è arrivato e chiedere “tu come hai fatto?”

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