Capo di se stessa - il salone di Nadeshe

 





Abbiamo parlato con Nadeshe, parrucchiera di 27 anni che ha da pochi mesi aperto il suo salone in centro a Roma.Affiancata dalla madre, anche lei parrucchiera, e dalla sorella onicotecnica, Nadeshe si trova ad affrontare il mondo imprenditoriale da giovanissima, con i suoi pro e i suoi contro.

E noi ce lo siamo fatti raccontare per filo e per segno!


Parlaci un po’ del tuo lavoro: cosa vuol dire avere il proprio salone? Quali sono le difficoltà e le soddisfazioni?


Rispetto al lavoro da dipendente c’è stato un salto: mentre prima mi occupavo solo della parte creativa e di seguire la cliente, ora si sono aggiunte responsabilità più grandi. Ci sono gestione dei conti, piano di comunicazione e marketing, burocrazie. Con il crescere dell’azienda cercherò di delegare alcune parti di questo lavoro, ma in ogni caso aprendo la tua attività il carico si amplifica: non ti occupi più solo del tuo mestiere ma della situazione a 360 gradi.

La fatica è tanta: già dal principio per trovare il locale ho sacrificato ogni momento libero, poi in mezzo ci si è messa la pandemia che ha rallentato tutto. In più molte libertà che hai da dipendente non esistono nella prima fase di apertura.

Nonostante tutto, sai sempre di star facendo ogni sforzo per la tua azienda, le tue tasche, la tua indipendenza, per poter essere capo di te stesso.

Uso sempre una frase dal film di Hannah Montana: la vita è una scalata, ma la vista è stupenda! Non è facile ma c’è la consapevolezza che ogni sacrificio e tutto l’impegno che ci metto mi porteranno verso la meta. 

Vedendola dal mio punto di vista positivo ci sono soltanto pro!


Che percorso ti ha portata fin qui?


Non è stata la classica storia in cui ho voluto far questo fin da piccola, anzi. Sono sempre stata indecisa tranne che sulla volontà di stare in mezzo alle persone: sapevo che avrei fatto un lavoro a contatto con il pubblico, indipendentemente da quale.

Da adolescente ero appassionata di make-up, quindi ho iniziato con una scuola da truccatori; ci ho lavorato un po’ ma in Italia facendo solo il truccatore/truccatrice è difficile farsi strada. Anche sotto consiglio di mia madre ho affiancato ad esso il mondo dei capelli, e mi è piaciuto. Le due cose un po’ si somigliano, sono stata fortunata ad appassionarmene. Poi a me alla fine basta che una cosa si possa colorare e mi piace a prescindere comunque!

Quando sono arrivata alla scuola per parrucchieri i miei colleghi già lavoravano, avevano più dimestichezza, io non sapevo tenere un pettine in mano ed ero la peggiore del mio corso. Anche lì è scattato qualcosa, ho visto un obiettivo e ho capito che per raggiungerlo avrei dovuto perseverare. Così ho comprato delle testine, a casa mi allenavo e ho iniziato subito a lavorare. In questo caso mi ha aiutata il mio essere audace: andavo in giro per negozi e dicevo ‘ciao, non so fare niente, mi prendi e mi insegni a lavorare?’



Dopo tutto questo, cinque anni fa ho conosciuto uno dei migliori coloristi in Italia e a lui devo tutto. È nel suo salone che ho appreso il mondo del colore, che non voglio dire sia la mia expertise ma è sicuramente la mia passione: unisce colorimetria, cosmetologia, anatomia del capello, logica. È una sfida: soddisfacente se la sai vincere!

Da lui non ho imparato solo la parte tecnica, ma anche come impostare un salone, accogliere un cliente, fare le consulenze, prendersene cura.

Nel rapporto con il cliente mi ha insegnato sopratutto ad imparare a proporre e saper guardare; consigliare e non solo assecondare i suoi desideri. Un esempio classico è quello dei capelli bianchi: molte donne vanno dal parrucchiere per coprirli quando si può lavorare in sinergia con essi, imparare a conviverci, trovare una situazione accomodante in base alle esigenze e al rapporto individuale con i propri capelli. Il risultato è più soddisfacente del semplice schiaffarci sopra un bel colore e coprirli!

In ogni caso dopo un po’ di tempo ho scalpitato, volevo stare per conto mio. E lì è arrivato il negozio.


 Parlaci un po’ della tua formazione: come funziona l’accademia?


Al termine dei primi due anni prendi una qualifica di operatore lavorante: sei abilitato ad esercitare il tuo mestiere all’intento di un salone. Questi due anni sono di teoria, tra cosmetologia, colorimetria, struttura chimica del capello; e pratica fatta sulle testine, utile a sciogliere le mani ma non soddisfacente quanto lavorare su una testa vera. Ovviamente essendo un lavoro a contatto con le persone, per imparare bene la cosa più importante è esercitarlo.

Dal terzo anno si può proseguire con esercizio d’impresa, corsi più manageriali che danno l’abilitazione ad aprire un proprio salone o diventare direttore tecnico nel salone altrui.

Questo è un lavoro ancora legato a pregiudizi che vedono i parrucchieri come ragazzi che non hanno avuto voglia di studiare e si buttano a fare un mestiere del genere, ma la verità è che non è più così: con tutta la formazione che c’è ora, il parrucchiere di oggi ha un altro tipo di professionalità nell’accogliere un cliente sia dal punto di vista tecnico che umano.

Io (che ho iniziato tardi per gli standard) mi reputo un po’ più avanti di chi, dieci anni fa, alla mia età faceva il mio lavoro già da dieci o dodici anni.


In che modo la tua attività incide sulla tua quotidianità?


Ammetto di essere ancora in una fase di grande rigidità, quindi questa ora è la mia priorità assoluta su tutto. Allo stesso tempo sono comunque molto libera di gestire il mio tempo, perché per organizzare qualunque cosa non devo chiedere a qualcun altro.

Sicuramente aprire la propria attività influisce sul resto: entri nel mondo di numeri, banche ecc.; però credo che avere la mente fresca e giovane aiuti ad avere le energie necessarie per fare tutto e a non stancarsi. Certo, è un lavoro che richiede prestazione fisica, bisogna esserci, non si può fare né da remoto né da seduti quindi c’è bisogno di essere riposati sia fisicamente che mentalmente. Questo non vuol dire che quando stacco non esco, anzi.

In ogni caso ho sempre la consapevolezza che andando avanti non ci saranno solo vantaggi economici, ma anche proprio di gestione del tempo.


Giovane imprenditrice donna. Cosa vuol dire per te?


Questo è un discorso che mi sta molto a cuore. È un momento importante perché se sei donna e vuoi investire ci sono fondi ‘rosa’ a cui far riferimento, ci sono molte possibilità.

Inoltre grazie a tanti comitati importanti nell’ambito femminista stanno venendo alla luce tante situazioni che rappresentano ostacoli per le donne sul lavoro: da malattie come l’endometriosi, più consapevolezza verso le sindromi mestruali e premestruali fino alle limitazioni poste alle donne in caso di maternità. Tutto questo non deve rappresentare un impedimento sulla crescita imprenditoriale di una donna, mentre purtroppo oggi in Italia è ancora spesso inteso come tale. Sicuramente un vantaggio grandissimo di essere ‘capo di me stessa’ è proprio quello di non dovermi preoccupare di un domani in cui vorrò (o non vorrò) programmare ad esempio una gravidanza. Su questo tipo di tutela si fonda anche la mia mission aziendale: vorrei poterla garantire a chiunque venga a lavorare nel mio progetto, perché è giusto che ogni donna decida per se stessa e non venga inibita dalla società odierna.


Quali sono le tue prospettive future? Dove ti vedi tra 10 anni?


Vorrei che l’azienda crescesse, assumere personale. Può sembrare utopico ma l’obiettivo è crescere a tal punto da creare un welfare all’interno dell’azienda dove chiunque possa sentirsi tutelato a 360 gradi.

Mi piacerebbe anche dar spazio ai giovani, che in questo lavoro in Italia non viene mai fatto: qua è tutto improntato su stage e gavette, posizioni che non fanno crescere l’azienda. Nel resto del mondo occidentale, invece, un apprendista fa l’assistente per un paio d’anni e poi si crea il proprio spazio. Dare ai giovani queste possibilità fa crescere tanto il singolo lavoratore quanto l’azienda.


 Io sogno di potermi dedicare alle clienti che mi stanno più a cuore, quelle che mi hanno permesso di arrivare qui, e lasciare agli altri la possibilità di esprimersi.

Poi sicuramente vorrei fondare una linea di prodotti dando spazio all’italiano, al packaging sostenibile e ai prodotti non testati su animali, possibilmente vegani.


Tre caratteristiche di te stessa che pensi ti siano state utili nel percorso e ti siano utili attualmente


La sfacciataggine: per anni è stato un punto a sfavore ma adesso è a mio favore;

la severità verso me stessa (e gli altri): mi spingo da sempre il più possibile, ma almeno oggi so di poter contare su di me; 

il coraggio: non essere timorosa. Farsi domande e avere paura sono cose importanti, ma portano a procrastinare e non far mai arrivare il momento giusto.


Un consiglio che daresti a chi vuole avviare questi tipo di carriera


Non avere paura. Lasciare un po’ che il tutto fluisca: ci sono i giorni sì in cui tutto è fantastico e i  giorni no in cui le cose non vanno. Servono entrambi.

Essere coraggiosi compone il 50% dell’essere un lavoratore autonomo.




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