Essere infermiere - Percorsi, soddisfazioni e prospettive future




  

Cosa vuol dire formarsi come infermiere, in un percorso accademico tanto professionalizzante da permettere l’ingresso nel mondo del lavoro da giovanissimi? E cosa, di conseguenza, vuol dire essere un ventenne che lavora in ospedale, tra turni notturni, responsabilità enormi, grande carico emotivo? 

Ma sopratutto, e poi? Quali sono le mille possibili evoluzioni di una carriera che, vista dall’esterno, può sembrare statica nel tempo? 

Sono queste e altre mille le questioni che circondano quella parte di professionisti che rimane “scarsamente riconosciuta professionalmente ed economicamente”.


Le abbiamo poste tutte a Fabio, 24 anni, originario della provincia di Brindisi, che si è laureato a Roma in infermieristica per poi specializzarsi con un master in area critica, e tuttora vive e lavora nella capitale. 


Parlaci del tuo lavoro: cosa fai esattamente?


Da un anno lavoro in un reparto di rianimazione. Precedentemente ho fatto esperienza in rianimazione covid e per un breve periodo in medicina d’urgenza.
Macroscopicamente mi occupo dell’assistenza infermieristica nei suoi 360 gradi, finalizzata a pazienti peculiari in quanto spesso intubati o sedati, con i quali quindi ci sono un rapporto ed una forma di assistenza diversa rispetto a quelli che si possono avere con un paziente collaborante. 

Il mio lavoro si struttura su turni di 23 ore divisi in 5 giorni, nell’ordine uno di mattina e uno di pomeriggio (entrambi da sei ore e mezza), e poi una notte di undici ore. A questa segue un turno di smonto, ovvero un giorno in cui il professionista deve rimanere a casa (dopo aver lavorato fino alle 7 di mattina). Dopo un giorno di effettivo riposo settimanale, ricomincia il ciclo di turni.


Ti ritieni soddisfatto del tuo lavoro? 


Mi ritengo soddisfatto dal momento in cui ciò che ho scelto di fare è ciò che mi ritrovo a fare a tutti gli effetti.
Così come ogni lavoro si differenzia da ufficio ad ufficio, il mio si differenzia da ospedale a ospedale: ogni struttura avrà i mezzi per fare più o meno dal punto di vista assistenziale e ogni struttura avrà dinamiche interne più o meno stimolanti.

In quanto giovane lavoratore sono soddisfatto sotto il punto di vista professionale, ma insoddisfatto sotto quello lavorativo. I professionisti del mio ambito infatti percepiscono uno stipendio che potrebbe e dovrebbe - secondo i canoni europei - essere un po’ più alto: pensiamo a rischi e responsabilità di questo settore, i turni che creano una sorta di jet-lag, e non per ultimo il fatto che la professione infermieristica è tra quelle definite usuranti.


Riprendiamo il discorso di rischi e responsabilità: il tuo è un lavoro particolare sotto questo punto di vista. Quali sono gli aspetti sfidanti?


L’ambiente ospedaliero è sicuramente un ambiente delicato, in cui bisogna sapersi rapportare e in cui ogni errore può tradursi in un intervento errato dal punto di vista pratico (come si può immaginare) o dal punto di vista morale per la persona con cui ci si interfaccia, che è comunque un paziente che soffre, che patisce. 

Inoltre la continua evoluzione della medicina e di tutto ciò che le ruota intorno impone la necessità di imparare qualcosa di nuovo ogni giorno, il che porta ad una costante crescita personale.
Le responsabilità sono innumerevoli e non permettono cali d’attenzione, ma sicuramente è un lavoro stimolante anche per questi aspetti!


In che modo tutte queste caratteristiche del lavoro influiscono sulla tua quotidianità?


L’influenza del lavoro è soggettiva, in quanto ognuno reagisce ad orari e stress in modo diverso. 

Il lavoro può diventare un pensiero costante o qualcosa da cui ci si vuole staccare e pensare il meno possibile fuori dall’ambiente lavorativo.

Sicuramente anche per questo è una professione alla quale si deve essere preparati, e il tirocinio universitario è strutturato in modo da rispecchiare il più possibile la realtà lavorativa proprio per raggiungere questo scopo. 

Tutte queste caratteristiche incidono vista la necessità di essere il meno possibile coinvolti emotivamente e andare a contrastare le possibili influenze negative con la propria vita privata, nella quale si deve lasciare il giusto spazio all’ambito lavorativo. 


Facciamo un passo indietro. Come hai scelto questa carriera?


La mia è stata una scelta assolutamente non condizionata, come spesso accade, da esperienze personali o da familiari nel settore. 

Personalmente è stata dettata dall’affinità che ho riscontrato tra il mio carattere e quello che nel mio immaginario era di un infermiere.


Vediamo il percorso che ti ha portato qui. Come funziona la formazione infermieristica?


Gli studi di questo settore si basano su tanto tirocinio, tante lezioni e tanti esami, che lasciano poco spazio ad attività extracurricolari: svolgere un lavoretto collaterale e dedicarsi alla propria vita privata non è facile quando dalle 7 di mattina fino alle 13 sei in reparto per poi svolgere lezioni frontali dalle 14:30 alle 19. Durante i periodi di sessione ci si concentra sugli esami, suddivisi in blocchi di macrocategorie più o meno relativi all’ambito infermieristico (tra cui ad esempio chimica, psicologia, etica, ricerca). Ovviamente ogni università adotta il suo metodo e non per forza struttura orari e organizzazione allo stesso modo.

Sicuramente è un percorso che comporta notevole dose di stress e orari impervi, ma ti professionalizza a tutti gli effetti: al suo termine sei un professionista formato. 

La scelta di seguire un master successivamente è stata invece dettata da interessi personali ed attitudini. Spesso alla base della scelta di specializzarsi c’è una volontà fine a se stessa, dal momento in cui in Italia si è scarsamente riconosciuti professionalmente ed economicamente e quindi poco incentivati a seguire questo tipo di percorsi formativi aggiuntivi. 


Attraverso queste specializzazioni, però, il tuo lavoro può avere differenti prospettive di crescita. Quali sono plausibili evoluzioni e quali sono quelle che vedi per te stesso?


Le prospettive di crescita sono innumerevoli: vanno dall’insegnamento, alla ricerca, a posizioni dirigenziali in aziende ospedaliere.
Pensando alle specializzazioni, si può seguire ad esempio un master in coordinamento per diventare caposala,  in wound care per gestire lesioni avanzate, o in area critica specializzandosi quindi in pronto soccorso, rianimazione e via dicendo. 

Vi sono strade meno battute, come quelle riguardanti la cooperazione internazionale e quindi le missioni in cui la figura infermieristica è fondamentale. Si pensi a zone di guerra, ad associazioni come croce rossa, Emergency, le ONG che operano in tutto il mondo. È proprio quest’ultimo ambito, che permette esperienze più dinamiche e i cui sacrifici sono ripagati sotto il punto di vista formativo, quello che mi piacerebbe esplorare. 

C’è però da aggiungere che anche senza specializzarsi e mantenendo la propria attività lavorativa il più “statica” possibile (rimanendo magari trent’anni nello stesso reparto), la formazione è un aspetto continuo e costante di questa professione. La continua evoluzione della medicina, come dicevamo prima, fa sì che sia necessario appunto continuare a prepararsi e ad imparare, e anche percorsi di istruzione extraospedalieri sono  fortemente consigliabili per i professionisti del settore.


Viste tutte queste possibili evoluzioni della tua carriera, dove ti vedi tra dieci anni?


La domanda è complicata: parliamo sempre di una professione usurante e nonostante tanti esempi di persone che a 60 anni fanno ancora le notti in ospedale, il dubbio sul portare avanti questo tipo di vita molto a lungo sorge sempre spontaneo. 

Non so dove sarò tra dieci anni, ma sicuramente spero di essere un professionista ancora più competente e formato di quanto lo sia oggi.
Mi piacerebbe fare cooperazione e viaggiare il più possibile, con una professione del genere che te lo permette in infinite declinazioni: dall’ambiente ospedaliero in altri stati, alle navi che si occupano di "search and rescue" nel mediterraneo centrale, all’esperienza da infermiere su navi da crociera e fino ad essere in Kenya ad aiutare le popolazioni locali a sviluppare nuove pratiche e conoscenze di quest’ambito.


3 caratteristiche di te stesso che ti sono state e ti sono utili in questo percorso:


Costanza, empatia e curiosità.


Un consiglio che daresti a chi vuole intraprendere questo tipo di percorso:


Non scoraggiarsi mai a fronte di situazioni, carichi di lavoro o studio che possono portare a vacillare, soprattutto se si confida nella propria volontà di seguire questo percorso, che è splendido. 

È l’aspirazione a potersi un giorno autovalutare sul lavoro, dal punto di vista professionale,  e rendersi conto di essere un infermiere in grado di sapere e saper fare,  il risultato più grande a cui chiunque inizi questo percorso dovrebbe aspirare. 





Commenti