Account executive - dal mondo della psicologia a quello della pubblicità

 





Il mondo della pubblicità è uno dei più vasti, in continua evoluzione ed appetibili del nostro tempo. 

Ma come ci si arriva? Cosa vuol dire lavorare al suo interno? 

Ce lo siamo fatti raccontare da Daniele, 27 anni, originario di San Benedetto del Tronto e da un anno e mezzo account executive in un’agenzia pubblicitaria a Milano. 

Daniele si è laureato in scienze e tecniche psicologiche ad Urbino prima di specializzarsi in psicologia del marketing e della comunicazione a Roma: proprio questa laurea magistrale lo ha introdotto al mondo della pubblicità nel quale, in un modo o in un altro, è voluto entrare a tutti i costi.  


Parlaci del tuo lavoro: cosa fa un account executive?


L’account executive gestisce la relazione tra l’agenzia pubblicitaria e il cliente nell’ambito della campagna di comunicazione o del progetto specifico richiesto da quest’ultimo.

Nella pratica, il cliente viene acquisito dall’agenzia (tramite gare aperte dal cliente, delle quali attualmente non mi occupo io ma mi piacerebbe farlo in un futuro) e pone la sua richiesta: ad esempio un rebranding, un piano di comunicazione annuale o un video-spot per la televisione o per la rete. Una volta ricevuta questa richiesta, sono io a comunicare con il cliente e a gestire l’iter che porta all’esecuzione del progetto. 

Mi occupo quindi di raccogliere tutte le informazioni utili, comunicarle alla mia area interna, la squadra creativa, e poi di gestire l’esecuzione di materiale e grafiche con il cliente, aggiornandolo su ogni step del progetto per riferire il suo feedback alla squadra, fino a completare e consegnare il prodotto finito.


Quali sono aspetti soddisfacenti e difficoltà del tuo ruolo?


Le soddisfazioni sono tante: un esempio pratico lo ho visto proprio ultimamente, quando abbiamo terminato uno spot per un cliente che gestisco personalmente da quasi un anno che ha coinvolto la Nike e ha visto come protagonista un giocatore del Milan. Il video è piaciuto al giocatore, ha soddisfatto il cliente, e a breve andrà online. È un progetto che nella pratica ho gestito io, quindi ovviamente c’è la grande soddisfazione di vedere il risultato di tanto lavoro e impegno.

Poi ci sono le soddisfazioni interne, che sono legate magari a chiudere contratti da 40mila euro, o annuali da 200mila euro, che sono cifre normali per l’ambito ma per me ovviamente sono numeri giganteschi! 

Pensando agli aspetti più sfidanti, sicuramente la cosa principale è il livello di stress: un account executive gestisce più clienti, quindi deve aver sempre ben organizzato quello che deve fare per ognuno, portare avanti molti progetti in parallelo, il che spesso si traduce nel lavorare più ore rispetto allo standard.

Questo dipende anche dalla bravura delle persone, in quanto ovviamente se sei bravo ti vengono assegnati più clienti, più progetti e più responsabilità, come in ogni lavoro.

Un altro bell’aspetto del mio lavoro è il tipo di clienti con cui ho a che fare: da Inter a Rayban a Tiktok, tutti giganti internazionali. È stato uno dei motivi per i quali mi sono spostato a Milano, tutte le aziende sono qui. A Roma o nelle Marche non avrei avuto lo stesso tipo di possibilità.


Come ti trovi in questo ambiente e come incide sulla tua quotidianità?


Io vado in ufficio tutti i giorni e lì c’è un ambiente giovanissimo e si sta bene: non abbiamo obbligo di abbigliamento formale (al contrario dei clienti delle aziende con cui ci interfacciamo), si respira un’aria serena e tranquilla. Arriviamo in ufficio alle nove, abbiamo una pausa pranzo che trascorriamo lì, e idealmente dovremmo staccare verso le sei, che diventano generalmente le sette/sette e mezza. Ovviamente la giornata si restringe, una volta finito di lavorare ho tempo di andare in palestra, o a giocare a calcetto, ma per mezzanotte e mezza generalmente sono a letto: il ritmo è comunque stancante. 



Facciamo un passo indietro: che percorso ti ha portato qui?


Io inizialmente volevo fare lo psicologo, da questo la scelta della triennale. Nel corso della laurea in scienze e tecniche psicologiche non sono stato stimolato verso il proseguimento di quella carriera: gli stessi professori ce lo sconsigliavano. Quindi ho deviato parzialmente la mia strada orientandomi verso la comunicazione ma mantenendo la base di psicologia, spostandomi quindi alla magistrale di psicologia della comunicazione e del marketing. Durante questo percorso di studi ho partecipato ad un corso di advertising con una professoressa alla quale devo tanto, che ci ha portato a scoprire il mondo della pubblicità che mi ha da subito affascinato tantissimo.

Una volta laureato ho iniziato a mandare il curriculum a molte agenzie a Roma e a Milano, candidandomi per differenti ruoli: io generalmente mi definisco un multipotenziale, che è un bel modo per dire che sono sufficiente in tutto ma non eccello in nulla, quindi in realtà non sapevo bene dove sbattere la testa ma avevo la certezza di voler entrare nell’ambiente pubblicitario. 

Mi sono candidato anche come grafico e come creativo (settori che mi piacciono e conosco), sono stati in agenzia a dirmi invece che vedevano in me skills da account executive.
La cosa mi è piaciuta e mi sono buttato: ora mi piace molto quello che faccio, nonostante i momenti di stress le soddisfazioni sono tante. 


Se non avessi scelto questa strada cosa avresti potuto fare con la tua formazione?


La psicologia di comunicazione e marketing ti porta abbastanza a reinventarti: c’è chi poi si butta su psicologia del lavoro per entrare nelle risorse umane, c’è chi si sposta e va a fare il social media manager. Diciamo che è una branca ampia e che apre molte strade. 


Quali sono le possibili evoluzioni del tuo ruolo? Dove vorresti vederti tra 10 anni?


Il percorso tipico dell’account executive è quello di costruirsi un buon portfolio di clienti e agganci in agenzia per poi poter passare in azienda. Diventare quindi non la persona che fornisce il prodotto ma quella che lo chiede, vivendo con una tranquillità differente che in agenzia non esiste.  

Aspetterò il momento e il cliente giusto, accumulando prima una buona esperienza e formando un portfolio più ampio, e poi mi sposterò verso quella strada.

Questa è un’informazione importante per chi vuole buttarsi nell’ambito: l’agenzia ti permette una sorta di scalata, magari da account executive ad account senior e account manager, ma in realtà cambia poco. 

Ti trovi ad avere sotto qualche stagista in più, ma non realizzi mai un vero successo rimanendo fermo in quella situazione.

In più è differente il guadagno: il percorso interno al mio ruolo è inizialmente di stagista, poi di apprendistato e infine indeterminato. Io sono attualmente al secondo step e non guadagno male, ma l’agenzia ha comunque un tetto massimo differente da quello di un’azienda, all’interno della quale si guadagna di più.


3 caratteristiche di te stesso che ti sono state e ti sono utili in questo percorso:


Spontaneità, faccia da culo e sorriso sono tre cose essenziali in questo lavoro. Credo che siano queste le qualità che hanno visto in me quando mi hanno assunto e proposto il ruolo di account executive. 

Il mio infatti è un lavoro in cui la relazione con il cliente è tutto: devi farlo innamorare di te, perché sei la persona con cui avrà sempre a che fare durante il progetto e questo rapporto può influire fortemente sulla sua soddisfazione. Ho visto colleghi perdere clienti per questioni di incompatibilità personale, nonostante magari nella pratica stessero facendo un ottimo lavoro. 


Un consiglio che daresti a chi vuole intraprendere questo tipo di percorso:


Se siete indirizzati verso questo settore, siate preparati ad un percorso stressante ma fighissimo e che da tante soddisfazioni. E ricordatevi che è un lavoro attualissimo e sempre più fondamentale: nel 2022 la comunicazione è tutto. 

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